PREGHIERA: ARROGANZA E SAPERE

Usa dire “togliersi i sassolini dalle scarpe”:
ma qui mi sto togliendo un macigno (do seguito all’articolo di ieri).

La preghiera è sempre stata concepita religiosamente:
questo è un errore storico colossale, anzi immenso (che significa mai misurato).

Si tratta di una domanda rivolta a qualcuno che ha un potere dispositivo:
ma quale domanda?

É triplice:

1° è rivolgersi direttamente alla più alta istanza esistente (Sultano, Imperatore, Re, Principe, o almeno Presidente o Capo del governo, cosa ormai debole anzi debile), non a un’istanza intermedia e tantomeno a uno strapelato;

2° proprio per questo l’orante potrebbe venire accusato di essere un presuntuoso, un superbo,  un arrogante che guarda in “alto” (“Come ti permetti?”):
invece è un ad-rogante (domandante) senza arroganza (già Giobbe);

3° se non è uno stupido che non sa quello che fa, egli formula la sua domanda o petizione con competenza o sapere, e sapere formale, ossia è un intellettuale:
formula una domanda formalmente adeguata al pensiero o desiderio o volontà del destinatario di essa:
infatti non ha senso rivolgere al Principe una petizione che non sia conforme al suo Regno ossia alla sua volontà in quanto Principe.

Allora la preghiera comporta sapere tale pensiero:
chi prega, se prega, sa.

Constato che siamo degli incompetenti in fatto di preghiera.

Ci sarà un seguito:
Macbeth, Regina di Saba, Madonna, Rivoluzione francese, Rivoluzione d’ottobre eccetera.

Milano, 1 novembre 2007

 

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