I molteplici usi della parola di ieri, “c.”, come “testa di c.” (riferibile anche a donne), o “c.ate”, la staccano dal normale rapporto denotativo parole-cose, per conferirle un valore altamente astratto, da Idea platonica iperuranica, come il Bene, il Bello, il Giusto.
La parola “c.” è sinonimo della parola “fallo” nell’uso freudiano, ma così alta, nobile, sublime nella sua ascendenza greca:
il volgare “c.” del volgare dantesco ha il merito di riportare sulla terra l’iperuranio platonico.
Non è stata sdoganata a lungo per salvare il sublime.
Il volgare popolo, nel suo uso smodato della parola “c.”, in fondo fa un’operazione filosofica, anche a difesa dei sessi, maschile e femminile, così feriti dal perdurante monopolio fallico.
venerdì 5 febbraio 2021