Tutti al mondo sanno del bambino giapponese di sette anni, Yamato, sopravvissuto da solo per quasi una settimana nella foresta bevendo acqua, e per il resto dando fondo alle sue riserve lipidiche:
ciò a seguito (non dico effetto) dell’intelletto cretino di genitori che hanno creduto di punirlo fingendo di abbandonarlo sulla strada, per tornare poco dopo a raccattarlo pentito e piangente:
lui invece non si è fatto raccattare, e senza lacrime si è nascosto e poi allontanato.
Potremmo dire, con la letteratura italiana, che è andato dagli Appennini alle Ande non per trovare la mamma, semmai è lui che l’ha abbandonata in cattiva compagnia col degno coniuge.
Chissà se per una volta impareranno qualcosa gli psicologi, e anche psicoanalisti, con la loro brava “sindrome di abbandono”.
Io sono appartenuto, come Yamato oggi, a una generazione di bambini di ieri che pensavano realisticamente le favole di genitori morti di fame, che abbandonavano i bambini nella foresta per non vederli morire della stessa fame (penso ai barconi):
in quelle favole i bambini erano notevoli per iniziativa, e non piangevano.
Eravamo normali.
Quelli dell’ISIS non sono certo bene intenzionati quando insegnano ai bambini l’uso da fare delle armi, ma è a bambini così che si rivolgono.
lunedì 6 giugno 2016