Giorni fa ho parlato di quei due individui (Siro e Irene, giovedì 28 gennaio) che mi hanno dato un passaggio duraturo prima che io sapessi fare l’autostop:
usa chiamare “famiglia” questo scarrozzamento.
Così scarrozzato verso lidi di diseguale pregevolezza, li ricordo con favore inversamente proporzionale al loro avere assunto un ruolo (“genitorialità”, parola che odo con repulsione a eccezione dei doveri materiali connessi), e anche al loro avere maledetto “Dio” per averli fatti uomo e donna (una maledizione diffusa, più delle bestemmie ormai desuete).
A parte questo, la mia biografia (non avendo io istinti autobiografici, potrei soltanto scrivere una apologia pro vita mea che come tutti ho a volte scritto bene o male) non li contempla a titolo di famiglia ma solo a titolo dei loro lidi più o meno congiunti o da partner.
Il mio “complesso edipico” stesso deve pochissimo alla famiglia, dato che avrei potuto elaborarlo anche all’esterno di essa, perfino presso coniugi letterari, bastandomi l’idea di coniugio uomo-donna(“Edipo” altro non designa che il pensiero personale, non naturale, del coniugio):
non sono personaggio di un romanzo famigliare, né di un romanzo comunque:
leggo romanzi, anche per diagnosi differenziale.
La “genitorialità” non implica il coniugio, e il “lettone” non comporta Edipo, alla cui metodica distruzione basta una frase anticoniugale.
lunedì 1 febbraio 2016