Intendo il falso della frase:
“La libertà di uno finisce dove comincia quella dell’altro”.
Infatti in una partnership, che mira alla produzione di ricchezza, la libertà di uno procede, progredisce, è produttiva, per mezzo della libertà dell’altro.
Non sorvolo sulla parola “mezzo”:
quando Kant scrive che l’uomo va trattato come fine e non come mezzo, è astuto:
sembra dire di non trattarlo come schiavo o utensile, dice invece di non trattarlo come partner, il che nella morale kantiana è reso impensabile alla lettera, cioè impraticabile:
è questo il moralismo, e non esiste altro moralismo che quello kantiano, l’“imperativo categorico” presente anche in moltissimi che neppure conoscono il nome “Kant”:
l’empatia, tanto carina, è kantiana.
Il falso della frase succitata sta nel fatto che essa razionalizza la patologia, che si oppone all’essere mezzo-partner:
la Cultura è largamente fatta di questa razionalizzazione, con danno economico (e guerra tra poveri).
Dalla partnership ricavo la definizione stessa della libertà, e della moralità:
e anche dell’amore che, quando è, è una SpA a due soci:
c’è poi il caso della Società a soci illimitati, che è società non massa, e che non è la melassa dell’amore collettivo, ammucchiata mistica come un assalto alla baionetta.
giovedì 18 giugno 2015