Nella realtà umana abbiamo solo artefatti, in gran parte manufatti, prodotti del lavoro.
Adamo stesso (significa “uomo”) è un artefatto, la cui materia deve tutto alla sua forma e non alla sua natura, come peraltro un tavolo, manufatto che non deve nulla alla sua materia lignea, metallica, plastica, purché ci sia una materia:
un tavolo è debitore alla natura solo quando è usato indipendente dalla sua forma, per esempio come oggetto contundente, o (in caso che sia ligneo) come combustibile.
Anni fa ho commentato un grande manifesto pubblicitario con due cavalli, maschio e femmina, che copulavano (la “monta”):
di questa scena mi intendevo già da bambino, quando sapevo che la femmina stava lì buona-buona, senza emozioni, e che il maschio la faceva svelta-svelta, insomma una “sveltina”.
In altri termini la scena, se trasposta nel regno umano, era quella della frigidità femminile e dell’eiaculazione precoce maschile:
in breve, quando imita la natura l’uomo fa arte, artificio della specie psicopatologia (l’isteria è maestra in quest’arte).
Quanti millenni di isteria contiamo?, e quante migliaia di pagine filosofiche sull’“animale umano”?:
c’è però, ma senza riscatto, l’arte dell’uomo-bestia, non animale ma sublime.
Dovremmo riconsiderare l’arte, anche per sapere quando darle la nostra stima senza essere delle bestie (l’“Arte” è come la “Cultura”).
L’artefatto politico non lo è meno dell’artefatto umano, né difformemente da esso.
giovedì 20 novembre 2014