Disconosco ogni significato sostanziale alla parola “La Fede”, e respingo Lutero che confondeva “credente” e “pio” (“Bist du fromm?”, domandava).
Invece, riabilito logicamente la parola “fede” − mai chiarita malgrado più tentativi di definizione, fra i quali quello dantesco −, subordinandola al duplice test di affidabilità:
la fede è assenso a una dichiarazione provvisoriamente non verificabile, purché affidabile per 1° innocenza (non produzione di danno) e 2° consistenza (non contraddizione), due test ambedue discorsivi (o razionali).
Non insisto sulla conclusione che ne ho tratto, ossia che il discorso di Gesù risponde positivamente ai due test, senza alcuna “manfrina” fideistica da parte mia (né sua):
la sua affidabilità è massima quando, contro Parmenide e Platone, si pronuncia, giuridicamente e non ontologicamente, a favore del conoscere e giudicare l’ente dai suoi prodotti e non dall’ente in sé:
il sale non è salino, il sale sala.
I bambini sono il campo minato dall’inaffidabilità, episodica o metodica, degli adulti, anzitutto riguardo all’amore:
essi risulteranno malati … d’amore (come tutti), perché l’amore, nel bene o nel male, è un discorso non un predicato (materno o divino).
L’analista è affidabile in quanto obbedisca alla regola o norma psicoanalitica come norma di non omissione e non sistematizzazione dell’omissione:
prima che norma dell’analisi è norma di Ordine intellettuale e sociale.
venerdì 4 luglio 2014