Dopo (I) e (II) vengo ora all’orazione discorsiva che prediligo, nota come “Padre nostro”, e che raccomando a credenti, miscredenti, diversamente credenti.
Nel suo nocciolo si tratta:
1. di un “nostro”, ossia :
un universo, in cui “Padre” designa non un Papà sia pure eccelso, buono buono buono, imperativo ma a fin di bene, misericordioso al cubo e via con gli attributi, bensì di un principio di possesso legittimo (eredità, non proprietà come furto che dura tutt’oggi):
so di discostarmi dalla père-version lacaniana, come pure dal Padre mal-andato chiamato “primitivo” da Freud;
2. di un “regno” ossia di una società avente una Costituzione, ordine non sistema, in cui tutti e non uno solo provvedono cioè fanno politica.
Sorvolo sulle altre proposizioni salvo una, “sia fatta la tua volontà”:
mi sono già pronunciato a sfavore dell’occultismo millenario di una Volontà-mistero che solo “Lui” conoscerebbe, mentre noi la cercheremmo con la lingua penzoloni come cani fedeli (“fede”?):
piuttosto, l’ho già paragonata alla volontà che domando al Direttore di banca di far essere in lui, quella di disporre un finanziamento a favore della mia iniziativa o impresa:
il contenuto di questa è noto prima a me che a lui.
Detto il contenuto resta la forma, quale?, lo vedremo (procedura).
Tutto ciò, e ciò che seguirà, è ragione non fede:
lo imparavo tanti anni fa da Kelsen che scriveva che la proibizione giuridica di uccidere non deriva dal Decalogo:
ne ho scritto a proposito di una proibizione minore, quella di attraversare col semaforo rosso.
mercoledì 2 luglio 2014