UNA SOLA ORAZIONE (II)

Sabato-domenica ho introdotto la sinonimia logica preghiera-orazione.

Salvo che fosse uno sciocco, a Novalis non poteva sfuggire che la distinzione tra pregare e pensare è divisione del pensiero, divisione dell’io, la stessa di “divide et impera”.

Io però non abolisco il caso della preghiera come un atto del pensiero, del medesimo pensiero discorsivo o orazione:
ecco perché continuo ad apprezzare il Salmo 129(-130) noto come De profundis nel latino della Vulgata, erroneamente classificato come preghiera per i defunti:
nel che si tratta del solito pasticcio, anche psicoanalitico, della classificazione profondo/superficiale, basso/alto, estesa a inconscio/coscienza, mentre il pensiero è una superficie come la carta anche quando serve a fare un pacco, o una stringa piatta anche quando serve a fare un nodo.

Il Salmo dice:

De profundis clamavi ad te domine,
domine exaudi vocem meam.
Fiant aures tuae intendentes
In vocem deprecationis meae.

Questa preghiera è un’orazione da intelletto discorsivo a intelletto discorsivo, in questo caso quello di un “Signore” di cui si tratta di sapere se, bontà sua!, ce l’ha, e non sarò io a negarglielo perché sono favorevole ai diritti divini come a quelli umani:
inoltre lascio che abbia cura lui del suo intelletto che, se è, non è meno superficiale del mio (l’idea di “profondità” o “altezza” divina ha già abbastanza annoiato la vita mia e di tutti).

Posta la preghiera-orazione come atto, essa risulta imputabile – ecco tutto! -, non come quella pseudopreghiera che detesto che suona Gospodi pomilui o Kyrie eleison ripetuta all’infinito (mi ricorda “Dottore mi salvi!”).

Ci si avvicinava la battuta di Woody Allen:

“Non mi iscriverei mai a un Club dove prendono quelli come me!”:

io psicoanalista lo prenderei?:
dipende.

martedì 1 luglio 2014

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