É il cervello [riscrivo l’articolo disperso ieri]:
per pensarlo diversamente bisogna proprio avere perso il cervello.
Poiché sto con la scienza, tributo alle neuroscienze il credito di ammettere la serietà del loro lavoro:
che ritengo diffamato da quanti, psicologi psicoanalisti giornalisti filosofi, discettano del neurone della poesia, della musica, della scienza, della lingua, così che Dante avrebbe avuto un cervello “da Dante”, Mozart “da Mozart”, Einstein “da Einstein”, il bambino “da bambino” (?)
Ho sentito con le mie orecchie persone paludate risolvere tutto con la notizia che disponiamo di ben cento miliardi di neuroni (dell’ordine di grandezza del deposito di Paperone), o come direbbe un ragazzo “un casino!”
Servirebbe meglio la ricerca l’osservazione comune e quotidiana che il cervello è ancella devota del pensiero, secondo limiti ma senza pretese.
Nella sua illimitata modestia il pensiero neppure aspira a trasgredire i limiti del cervello, come pure della motricità e sensorialità organiche:
è proprio perché il pensiero opera sovranamente entro questi limiti che può darsi legge di moto (“pulsione”) umana e solo umana, artificiale o metafisica (“meta psicologia”), in perfetta assenza di qualsiasi legge di moto naturale (“istinto”).
Ciò vale anche per quella piccola cosa, o meglio piccola differenza, che è il sesso, alla cui vita, nel meglio o nel peggio, non presiede né il neurone né l’ormone:
l’uno e l’altro presi ancillarmente si comportano invece piuttosto bene, soddisfacentemente, moralmente:
soddisfazione e moralità coincidono, essendo vita formale del pensiero.
venerdì 2 maggio 2014