Un mio sogno di pochi giorni fa:
posso constatare che l’attività onirica, una delle modalità del pensiero, si evolve o meglio si coltiva nel tempo, fino a che punto? (è un peccato che nessuno coltivi questa domanda).
Il sogno rivisitava i miei giovani anni intorno ai venti, fino a mettere in scena un personaggio che conoscevo bene (un perverso), che tentava l’umanità a credere che egli fosse nato solo per inquinarla (ontologia diabolica):
non poteva pronunciare una frase senza sempre distinguere ossessivamente tra essenza e apparenza, assoluto e relativo, eterno e contingente, una distinzione che mi ha impigliato a lungo.
In breve, nel sogno gli dicevo – mirabile dictum! che lui era “un’ontologia sporca come le mutande sporche”
(tralascio i miei primi pensieri connessi, quelli che chiamiamo “infantili” confondendoli con “puerili”).
Il Tizio cui mi rivolgevo meritava e merita tutt’ora la mia frase, ma questo non importa:
la mia frase riprende ciò che ho scritto recentemente (sabato-domenica 28-29 settembre, Think! l’Ordine giuridico del linguaggio) contro l’ontologia platonica dei nomi come nomi delle cose, che nasceva come operazione sporca contro i nomi come nomi delle azioni, ossia come frasi:
a un tale Ordine dedico la mia vita come un san(t)o.
Insomma il Tizio cui ho alluso è solo una mediocre allusione a quel Platone che ancora inquina patogeneticamente le nostre vite quotidiane e collettive.
lunedì 14 ottobre 2013