CAINO E ABELE SENZA PERMESSO

Nel Convegno di Patti sul permesso giuridico (vedi ieri e l’altro ieri) ho concluso con questo intervento.

Sulla vicenda di Caino e Abele è prevalsa l’idea del delitto passionale, ma non torna perché i due “fratelli” sono intercambiabili (poteva essere Abele a uccidere Caino, proprio come x e y sono intercambiabili).

In questo racconto anticodierno deve prevalere come sempre l’osservazione, che qui è una sola:
i due coltivano campi separati e non connessi (pastorizia e agricoltura), non sono “fratelli”, non hanno legame sociale, l’uno è civilmente morto per l’altro, una pura sagoma per l’altro:
prima o poi qualcuno di loro farà, senza passionali ragioni, tanto per fare o agire, il tiro al bersaglio, ancora più semplice che la sfida all’OK corral in cui c’è pur sempre conflitto:
l’indifferenza precede e prepara l’ostilità.

Nessuno dei due si è permesso, cioè di offrire appuntamento ossia di fare società d’affari come Regime dell’appuntamento:
non c’è società che d’affari (anche quelli amorosi, che non sono amorosi senza affari), pastorizia e agricoltura sono solo X eY, campi di tiro:
l’avere lo stesso “Dio” non gli è servito a niente, come ben sappiamo da come va il mondo.

Il permesso giuridico fa diritto come Ordine senza il quale resta solo Ordine simbolico, l’Ordine dei campi da tiro.

Quando Caino risponde a “Dio” di non essere il “guardiano di suo fratello” ha ragione, perché non è in società con lui:
poi “Dio” proibisce a chiunque di giustiziarlo, cioè gli lascia tempo per passare a nuovo Ordine, e infatti Caino “divenne un costruttore di Città”:
non sarà che “Dio” è uno psicoanalista?

(ma gli psicoanalisti, con l’eccezione di Freud, non sono all’altezza di “Dio”).

mercoledì 30 ottobre 2013

 

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