APOLOGIA DEL SERPENTE

Nel passo evangelico alluso ieri, serpenti e colombe ricevono ambedue apprezzamento secondo le rispettive metafore.

Di volpi (vedi ieri) da bambino sapevo poco, mentre avevo spesso osservato serpenti, anche vipere, sul terreno loro proprio, in campagna o montagna.

Mi piaceva il serpente, capace di girare intorno (a una pietra, a un albero), senza impuntarsi, senza ostilità, quella della paranoia cioè  ostilità proiettata sull’altro:
insieme alla colomba è un’eccellente metafora dello psicoanalista.

Ho detto “insieme”, infatti il candore è il colore dell’analista (Freud è candido senza Dash):
ma è candore non ingenuo, su cose culturalmente sporcate, riabilitazione.

Peraltro, il serpente non attacca l’uomo salvo che questo abbia la da-benaggine di andarsela a cercare, un nido di  vipere lo è solo se uno ci mette la mano da ospite non invitato (ricordo Melusina la “perfida”, ma non si capirà che c’entra).

Vorrei una Civiltà serpentesca, se volete un “Paradiso”, ma attenzione!:
anche in “Paradiso” le vipere mordono l’indiscreto:
giustamente, perché lo ius è semper condendum, la legge non è fatta una volta per tutte, neppure con “Dio” di mezzo, neppure per “Dio” stesso:
in questo la storia della religione, e della teologia, ha sempre sbagliato tutto:
osservo che l’Olimpo greco con tutte le sue storie non è religione, è letteratura.

venerdì 10 maggio 2013

 

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