[Corrige: la frase che ieri ho attribuito a Raffaella Colombo è una frase che questa medesima mi ha detto citandone la fonte in Gabriella Pediconi:
ius-iustitia senza danno per alcuno.]
Un sogno (che la sognatrice potrebbe riferire e commentare in prima persona):
in un’aula di Tribunale l’imputata vanifica il Tribunale stesso prendendo a suonare un fischietto, a suono però non acuto ma flebile, che ammutolisce il difensore ma anche il giudice:
la sognatrice prende a parte l’avvocatessa a fine di amorevole consolazione, ma l’avvocatessa si limita a emettere suoni simili a un frignare.
La consolazione stessa è dunque inefficace come tanti atti “caritatevoli”:
il mutismo è generale:
non c’è più Tribunale anzi è ricusato con violenza apparentemente soft (la peggiore), e anche quel Tribunale Freud di cui parlo da anni.
Esso è la sede giudicante in atto in un’analisi, in cui il giudice è il soggetto stesso (che aveva abdicato al giudizio), con l’analista come giudice a latere, “terapeuta” come compagno (in greco):
non è né il Tribunale della coscienza, né quello della storia, né un Tribunale popolare, tutti e tre a corto di ius-iustitia.
Ho sempre fatto osservare che in questo Tribunale il soggetto riveste la terzietà del giudice al cospetto dell’universo:
il giudizio, quando riesce, è un giudizio universale, coincidente con la guarigione.
Spostato sull’individuo il vituperato principio di autorità si riprende:
anni fa introducevo il concetto di ortodossia individuale:
non tot capita tot sententiae, magari sul Web, bensì il pensiero come fonte di una Costituzione.
Questo sogno è un giudizio esso stesso, identico al desiderio che vi sia giudizio.
PS
Ripeto ciò che ho già detto:
il Giudizio Universale, se fosse sarebbe la festa della san(t)a sede individuale, o del primato del diritto del principio di piacere:
infatti all’inferno ogni candidato ci va da solo, “Dio” non manda all’inferno nessuno (e risparmia carbone e manodopera).
mercoledì 17 aprile 2013