Diffondo in questa sede la lettera da me scritta ai Soci della “Società Amici del Pensiero” (lunedì 8 aprile 2013), in cui invitavo a non farsi sfuggire la paranoia, e non solo, nelle sue manifestazioni pubbliche.
“Auguro che sia terminato, e riconosciuto cioè giudicato come tale, questo delirio paranoico reiterato:
che possa accadere non mi sorprende, esso può darsi come altre tipologie (isterica, melanconica …):
ciò che importa è che non ci sia fissazione come alla zizzania, che io non strappo perché strapperei anche il grano.”
Niente di personale in questo, ho fatto come l’OMS che allerta sull’influenza aviaria:
la mia allertazione è sollecitazione a cogliere la paranoia.
Non ho mai visto guarire un paranoico:
eppure “guarigione” designa il riassetto del principio di piacere a partire da quel principio di realtà che è designato dall’espressione “chiamare le cose col loro nome”, che in questo caso significa diagnosi:
in questo caso, o tipologia, guarire sembrerebbe facile, perché il popolo stesso sa diagnosticare la paranoia, anche nella sua forma querulomane (“ti denuncio!”).
Anche J. Lacan, dopo Freud, si è occupato di psicosi paranoica, io sto solo invitando ad averne il giudizio semplice, come la diagnosi “piove”:
ne ho dato l’esempio riguardo all’isteria (“aspettami, io non vengo”), rendendola riconoscibilissima, anche se è vero che non c’è peggiore cieco di chi non vuole vedere.
Diversamente dall’isteria, in cui si tratta di indifferenza al pensiero, qui si tratta di ostilità al pensiero:
il pensiero è para-pensato (para-noia) nella fonte:
è tutta la legge di moto a venire alter-ata, si dice anche “alienata”.
venerdì 12 aprile 2013