[Sabato 9 febbraio ha avuto luogo alla Casa della Cultura di Milano un Colloquio, promosso dalla Società Amici del Pensiero, dal titolo “Minori in giudizio o minori senza giudizio”.]
Una parola che vi ha tenuto il campo è l’aggettivo “vulnerabile” riferito al bambino, che si associa ad altri come “fragile”, “debole”.
Torno a proporre come slogan vero una frase che mi piaceva già da bambino, “I bambini hanno sette vite come i gatti”, che apprezzavo perché conoscevo i gatti e sapevo che è arduo ucciderli:
con altre parole, i bambini sono assai poco vulnerabili, anche considerata l’alta capacità che hanno di infischiarsene (anche questa è una sanzione) quando sentono qualcosa di sgradevole.
Ebbene, il bambino è un drago a sette teste, per ucciderlo bisogna tagliarle tutte insieme recidendogli il collo cioè il pensiero comune a tutt’e sette.
Che sia un drago non sono io a dirlo bensì sono gli adulti a pensarlo, vista la loro intolleranza del fatto che il bambino osserva, inferisce, giudica, sanziona, cioè pensa in tutto il campo della sua esperienza:
allora fanno un master da Erode per formarsi alle forme stragiste dell’amorevolezza, per esempio con la spada della classificazione (“che bambino intelligente!”).
La tecnica della recisione è perversa, è quella del rinnegamento dell’intolleranza per mezzo dei buoni sentimenti (“formazione reattiva”):
è falso che l’umanità ami ontologicamente i bambini:
l’amore non è ontologico bensì noetico, riguarda il pensiero.
A favore delle sette vite parla il fatto che i bambini malgrado tutto non sono in maggioranza autistici, si difendono abbastanza bene.
giovedì 14 febbraio 2013