Sempre diffidare di chi si professa piccolo rispetto al grande, nasconde l’immodestia se non la superbia:
penso anche a certi nostri pazienti che passano le sedute a piangere miseria.
Non c’è “piccolo” quando la realtà esterna all’individuo è ricondotta alla realtà del regime dell’appuntamento, un regime di cui è legislatore come altri:
in questo regime non c’è alcun “più grande”, sia esso la società, il capitalismo, l’istituzione, “Dio”.
La parola “sinistra” mi irrita come uno sempre di cattivo umore, ma per un momento provo a tenerla ancora per designare certi partiti e sindacati:
questi dovrebbero smetterla di credere di rappresentare i ceti deboli con i loro diritti sempre più anemici (cioè i piccoli, che anche in massa restano piccoli, una massa bassa come tutte le masse):
per passare invece a scuola di economia grazie alla quale il lavoratore sia all’altezza di Marchionne quanto a competenza nel discutere di politica aziendale, anziché essere tutto lacrime e rabbia per la propria triste condizione:
politica melanconica.
Per farlo dovrebbero riscattare l’errore grossolano degli anni ’70, quello per cui si è abdicato alla buona idea di Marx che vedeva una sola economia detta “economia politica”, a favore di una delle versioni della coppia grande/piccolo che è la divisione micro/macroeconomia:
così facendo la “sinistra” si è fatta portatrice del divide et impera più tradizionale, che è la divisione micro/macropensiero.
Anche l’ateismo di Marx(-Feuerbach) si rivaluta nel suo essere a due imposte:
1. l’individuo non è minore di nessun ente “più grande”, 2. non è minore del Capitale se ne ha il sapere.
lunedì 22 ottobre 2012