La parola “rimozione” è appena ricorsa almeno dieci volte a “Che tempo che fa” per bocca di Massimo Gramellini intervistato da Fabio Fazio sul suo nuovo libro Fai bei sogni?
In tutte le ricorrenze la rimozione era definita come volontà, o desiderio o intenzione, di dimenticare un fatto doloroso:
ma questo non è vero, e si può perfino dubitare che un simile desiderio sia mai esistito, considerato che come tutti sappiamo la lingua batte dove il dente duole, e che andiamo pazzi per battercela e, già che ci siamo, per battere anche qualcuno con la lingua e i pugni.
Battere la lingua è un espediente universale che torna comodo per giustificare pecche e delitti.
La rimozione invece cerca di negare – con la tecnica dell’aggiornamento temporale bene esemplificata da Rossella o’ Hara – non un fatto spiacevole bensì un fatto piacevole (“piacere”, non dimentichiamolo, è un giudizio), e proprio perché tale:
lo si vede bene in tutti quei sogni in cui il desiderio sessuale ritorna deformato come rappresentazione di uno stupro [1] .
Spesso il persecutore perseguita coloro che hanno avuto la buona idea che prima aveva avuto lui.
La rimozione colpisce in senso propriamente contundente:
colpisce la facoltà di giudicare, fino a ridurre all’inettitudine anzitutto come ebetudine intellettuale-morale.
La rimozione è il pizzo pagato all’angoscia, ossia alla minaccia di togliere un amore che non c’è:
questa minaccia non ha neppure i proiettili della Mafia, cioè la menzogna sull’amore è più potente di tutte le staliniane divisioni di carri armati.
Sul dolore ho scritto da poco, In dolore veritas?, lunedì 3 gennaio.
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[1] Facciamo mente locale sullo stupratore, che oltre a delinquente è cretino:
infatti nello stupro non c’è nessun piacere.
martedì 6 marzo 2012