Riprendo dal termine dell’articolo di ieri.
Conosco almeno un caso di preclusione come concetto giuridico, quello di non possibilità di esercizio di una facoltà per decorrenza dei termini per la sua acquisizione-costituzione:
ossia non co-incidono due distinti, la costituzione della facoltà e il suo esercizio.
Ma in fondo ogni studente, e anche ogni cittadino illetterato, conosce questo concetto:
se l’Università stabilisce che le iscrizioni si chiudono il 31 ottobre, a partire dal 1 novembre c’è preclusione delle iscrizioni:
dopo il 31 ottobre allo studente resta:
– o da prepararsi al futuro 31 ottobre, come il Caino di ieri che è passato dall’il-legalità o non-rapporto con Abele, al domani di “costruttore di città”;
– o da delirarsi iscritto senza esserlo, oppure credere che l’intera Nazione lo perseguiti:
quest’ultimo caso è, in modo clinicamente inapparente, diffusissimo (ne parlerò presto a proposito del semaforo rosso).
Alla “preclusione”, fr. “forclusion” poco più che introdotta da J. Lacan, avevo già avuto una prima inconsapevole introduzione all’età di ventiquattro anni, a Medicina non ancora finita ma accompagnata ormai da letture freudiane, da qualche Convegno su cose più o meno psicoanalitiche, e da qualche prima idea sul futuro.
Un giorno ho appreso che una ragazza che conoscevo appena aveva subito un ricovero coatto al Paolo Pini per un episodio psicotico acuto, ed ecco in breve che cosa era accaduto:
per le sue inibizioni era stata consigliata di rivolgersi a uno Psicologo, e per sua sfortuna questi era un esemplare di quello che chiamo PI, acronimo di Psicologo Idiota:
il quale infatti le prescrisse di superare le inibizioni medesime andando finalmente a letto con il fidanzato:
poche ore dopo, il ricovero.
Eppure anche i più severi moralisti sanno che fare l’amore non manda in manicomio nessuno, eccetto – e questo non lo pensa né il moralista né il PI – chi non trova già costituito in lui il pensiero idoneo, o facoltà, a recepire e praticare tale esperienza:
quella ragazza era un caso di preclusione della facoltà o della costituzione di un tale pensiero, ossia tale pensiero non era già costituito al momento giusto, con la conseguenza che l’esperienza si è, non annullata ma trasferita dal pensiero normale (“pensiero di natura”) al delirio, erotomane e paranoico [1].
(segue)
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[1] A questa ragazza sarebbe stato più facile prostituirsi che fare l’amore col fidanzato: tutta l’esperienza prostitutiva mostra che il sesso non fa rapporto o, come ha ripetuto cento volte J. Lacan, che non c’è rapporto sessuale. Da parte mia non faccio che ripetere che il rapporto, se è, è costituzionale, e questo J. Lacan non l’ha detto né pensato.
Nel rapporto il sesso vive bene, ma poiché di rapporto ce n’è poco allora la felicità sessuale è rara (ecco il truismo dei truismi).
giovedì 9 febbraio 2012