[Terminerò sabato-domenica la sequenza finora di tre puntate iniziata lunedì.]
Supponendola detta da un pio cristiano, questa frase – “dixi et salvavi animam meam” – ci sembrerebbe ovvia
– e sbaglieremmo, perché quando mai un cristiano, a parte me, ha mai correlato la propria salvezza con un proprio atto anzi l’atto del dire? –,
mentre invece è stata detta-scritta da Karl Marx nel 1875 come chiusa della sua giustamente furibonda Critica del programma di Gotha (chi è interessato otterrà dal Solito Google rapide e facili informazioni).
Il senso della frase deriva dal fatto che Marx aveva deciso di non rendere ancora pubblica questa sua violenta requisitoria (resa poi pubblica con mitigazioni da F. Engels nel 1891, come esecutore testamentario, dopo la morte di Marx nel 1883):
mi basta per ora, dice Marx, che io l’abbia scritta, cioè un atto, come si dice “è fatta!”.
Come vorrei che tanti clienti di analista, e prima di loro tanti poi analisti, compissero l’atto non meno modesto che universale del dixi di Marx.
Io lo posso dire perché l’ho fatto, è la mia Opera omnia recente che è stata una sorpresa anche per me:
se dovesse darsi un Giudizio Universale, di cui non mi manca il concetto, io gli sono tranquillamente preparato da tempo, anche con la certezza di avere il favore del Giudice designato e dei suoi iniziali partner, e trovandomi il terreno già preparato da Freud, che nutre il mio stesso pensiero dato che io nutro il suo:
posso prestargli la frase di Marx, e in fondo la presto anche a J. Lacan:
e la presto anche a Gesù, che sapeva che nessuno lo avrebbe guardato nel becco, come si constata da duemila anni (e come ripeto nella sequenza iniziata lunedì).
venerdì 13 gennaio 2012