Riprendo l’articolo con il medesimo e indovinato titolo di venerdì 18 novembre, apparso appena prima, proprio come oggi, del Seminario di “Il Lavoro Psicoanalitico” dedicato all’esposizione di casi.
Rimango feroce (parlo della mia mite ferocia) nel non sopportare cento anni di esposizioni di casi, eccezion fatta per quelle freudiane (appena riedite) anche se non le assumo a modello.
Dovrebbe trattarsi di giurisprudenza, cioè di casi di processo di secondo grado:
non vittime ma imputabili:
nel bene o nel male l’io ha fatto la sua parte, il che lo salva a metà.
Il resto dipende dalla parte che farà nel secondo grado, anche riconoscendo quella che ha fatto nel primo.
Ma anche la salvezza dell’analista dipende dalla parte che farà, senza neutralità:
nel giudizio potrebbe finire nell’inferno dei cretini (causalità o destino).
venerdì 16 dicembre 2011