La parola “spirito”, specialmente con la maiuscola, ha seviziato me come tutti, in tutti i suoi significati e nelle contese tra questi.
Quelli che si prendono per colti ricordano che significa “vento” come il greco “anemos” con i suoi pasticci con “anima”:
in ogni caso va bene anche così, il vento è una spinta, un eccitamento, una chiamata o vocazione al movimento, e nel nostro mondo c’è penuria di vento, bonaccia non buona, insomma siamo nella depressione economica e psichica insieme.
“Spirito” significa il lavoro, per primo quello intellettuale, che fa passare – passaggio metafisico non fisico – il petrolio dalla stupida inutile materia di un tempo – anzi, neppure afferrata come materia se non come materia bruta cioè meno materia –, a materia prima, quella con cui si fa la benzina, che a sua volta ha poi cambiato faccia alla civiltà.
Non è solo il petrolio a potere passare a materia prima grazie al negozio del pensiero:
lo è anche ogni prodotto del pensiero, e il pensiero stesso:
e il soggetto di questo pensiero.
“Spirito” è un nome di ciò che fa accadere, cioè progresso:
divenire non è progresso, e i Greci ci hanno fissati al divenire.
Ancora anni fa non mi aspettavo che sarebbe toccato a me fare apologia di progresso.
Il nostro tempo è plafonato, anzi regressivo, e nei massimi discorsi politico-economici.
mercoledì 7 dicembre 2011