[Un frammento della mia Prolusione di sabato 22 ottobre al Corso Il regime dell’appuntamento. Quid ius?]
“Non uccidere”, perché?:
è una domanda stupida, pur avendo il pensiero dell’uccidere (sarebbe pericoloso non averlo):
non uccido così come non do fuoco ai miei soldi, ai miei libri, alla mia automobile, alla mia casa.
Non è vero che non uccido per evitare la prigione, e nemmeno per obbedire a Dio (5° Comandamento), né per inibizione (è stupida l’idea di “freni inibitori”):
non uccido perché se lo facessi diminuirei l’ambito universale dell’appuntamento, e di conseguenza produrrei un danno anche mio:
c’è legge morale se è economica.
Un danno a partire da un danno al mio pensiero come modo di produzione di profitto: so bene che già i Greci non pensavano così il pensiero:
non avevano un pensiero morale, come pure Kant più tardi.
I Comandamenti sono solo dei memo del pensiero sano ridotti al minimo, non dei comandi né delle proibizioni.
Ho avuto dei nemici, e cattivi anche: se viventi mi tengono compagnia:
è vero che mi sono stati ostili, ma almeno non in nome dell’amore che occulta l’ostilità.
Questo amore produce melanconia:
la vendetta (non la sanzione) conferma la melanconia da cui muove (vedi C’era una volta il West).
Il perdono – giudizio senza vendetta e senza esecuzione della sanzione penale – in fondo è buon senso, non oblatività.
PS
La “casa” dell’io è il pensiero, e l’estensione del pensiero è in-finita – certo non l’infinito matematico –, e questa infinità è concettualmente l’universo umano in quanto non limitato da una censura.
martedì 25 ottobre 2011