La parola italiana “parolacce” non ne rende abbastanza bene l’idea, preferisco l’espressione francese “gros mot”, perché “grosso” si oppone non a fine né a sofisticato, ma semplicemente a pensato:
e appunto le parole sono grossolane quando sono separate dal pensiero di ciò che dicono: lacanianamente sono dei “significanti” in quanto separati dai loro significati o concetti.
La cosa si fa interessante se ci si rivolge a tante parole di “nobile” tradizione filosofica:
non conosco maggiore grossolanità di quella della parola platonica “Bene”, insieme a “Bello” e “Vero” distinto dalla verità con la v minuscola.
Segnalo l’errore di sempre, quello di considerare omologhe “grossolanità” e “volgarità” (da “volgo”):
nella separazione della parola dal pensiero, volgo e haute sono identici, ugualitarismo dell’ignoranza, oggi accresciuto rispetto a ieri.
“Grande” è grossolano:
a “Dio” stesso, posto che esista, se qualificato “grande” salterebbe la mosca al naso.
Ancora recentemente ho segnalato la grossolanità della parola “fede”, separata come resta nei secoli da una sua idea chiara e distinta:
qui il colto teologo può essere non meno grossolano del “popolaccio”. Da molto più tempo segnalo la grossolanità della parola “amore”.
Non mi dedico oggi alla grossolanità della parola “speranza”.
La coscienza è grossolana, prima di venire … rieducata dall’“inconscio”.
martedì 4 ottobre 2011