Mi sembra di ricordare che questa triviale espressione ha nobili natali ma non ricordo quali (Boccaccio?, Rabelais?, Gadda?)
In ogni caso la riferisco a ciò che scrivevo ieri (Voglia di Sant’Uffizio), e senza speciale riferimento a faccende religiose che per me psicoanalista, anche come cristiano, hanno scarso interesse.
Ho già scritto, anche a proposito di M. Lutero, che la questione millenaria è la permanente mancanza di significato o concetto della parola “credere” o “fede”:
scriveva bene J. Lacan che “non si sa mai bene che cosa crede chi crede, e che cosa non crede chi non crede”.
Ho già scritto recentemente di Lutero che ha perso l’occasione di cogliere la suddetta mancanza di significato nella storia, per invece limitarsi a rilanciare la parola “fede” nella vuotezza, e peraltro debolmente (osservavo che “fromm” cioè pio non è sinonimo di “credente”).
Nella mancanza di concetto si è presa inevitabilmente la strada dell’occultista “Mistero”, la tomba del pensiero e anche della possibile fede.
Da anni propongo che “fede” ha significato solo se significa giudizio di affidabilità, come tale razionale.
lunedì 26 settembre 2011