Ripassiamo per quel nodo sempre attuale, e che non è mai snodo cioè luogo di passaggio e soluzione, che è quel “sacro” che all’inizio del secondo millennio è stato riconfezionato nel mito puerile, tragi-comico e occultista del “Graal”.
Tutti dovrebbero sapere che “sacro” designa un’area circoscritta da un perimetro chiuso che non si può-deve trans-gredire, almeno virtualmente chiuso:
questa virtualità è subito stata equivocata come virtuosità, e siamo sempre e ancora qui.
Al Corso di sabato u.s. della Società Amici del Pensiero-Studium Cartello, dedicato a Quel maiale di Parsifal, è stato documentato che “La Madre” è un tale sacro-chiuso, che poi Parsifal su comando della Madre proietterà su Biancofiore “fregandola”, il che ne fa un vero maiale:
peggiorando il fatto che era già stato Adamo a “fregare” Eva, non viceversa.
Discuteremo un’altra volta se il sacro della Madre sia il significato di ogni sacro della storia, se il sacro si riduca ai dintorni dell’osso sacro:
penso che l’impertinenza di questa satira sia dovuta.
In fondo è una satira benevola, contrariamente al sadismo di ciò che essa satirizza:
quel maiale di Parsifal, come è noto, non accederà mai al Graal, o al sacro:
esso è ciò che Natalia Aspesi, commentando spiritosamente Il codice da Vinci di Dan Brown, rivelava essere “quella cosa delle signore”.
In passato ho fatto osservare che “sacro-santo” è un ossimoro.
É appena stata riferita da un analista la frase di un paziente riluttante a parlare della madre perché ciò gli sapeva di “profanazione”:
parola ben scelta perché il fanum è il Tempio:
è lo stesso etimo di “fanatismo”, al quale mi dedicherò presto
(come pure a mostrare che Parsifal è l’antefatto di Gilles da Rais, “Barbablu”).
lunedì 13 giugno 2011