Sabato domenica 18-19 giugno 2011
in anno 155 post Freud amicum natum
É la novità di Freud:
quando egli dice che la religione è quella formazione di Cultura che ha forma di nevrosi ma generale ossia che risparmia l’angoscia della nevrosi individuale, egli riordina e rinomina la religione nella categoria dei sedativi (distinti in chimici e discorsivi), uno dei quali è detto “religione”, e senza perdersi a confutarne i contenuti:
propriamente parlando non c’è mai stata religione, e infatti io mi servo ancora di questa parola solo per tolleranza linguistica, come quando dico che il sole “sorge” e “tramonta” pur sapendo che non è vero.
Per questo considerare Freud “ateo” è frivolo:
invece, egli ha spostato tutto l’accento sul Padre, fino a J. Lacan il quale non ha fatto che ripetere che la prima questione seria è se “Padre” abbia o non abbia un significato designato dal significante, o se questo impazzi nella sua autonoma esistenza (J. Lacan ha battuto questa seconda strada):
per Freud, aiutato anche dall’essere ebreo, “Dio” era semplicemente una parola priva di significato, già troppo lungamente presupposto:
un ebreo scherza su “Dio” persuaso com’è che il “Signore” la pensa proprio come lui.
Come nevrosi ossessiva la religione sistematizza a partire da una linea di demarcazione, una riga tracciata in mezzo a un foglio, che poi moltiplicata quadretterà spazio e tempo in campi o sfere.
Tra i campi isolati ci sarà quello sessuale, con le relative morali e psicologie sessuali, e con immoralità e psicopatologia garantite nel più casto come nel più libertino.
In religione come in ossessione il fine – si tratta sempre di rapporto mezzi-fini – è quello di sedare l’angoscia:
poi si chiama “felicità” questa sedazione stessa.