L’ho scritto ieri senza scomodare Luigi XV.
Tempo fa già parlavo della Grande guerra sull’io (non ce n’è mai stata un’altra), aggravatasi dopo la seconda Guerra mondiale anche nell’ostilità a Freud, che promuoveva l’io ad attore anche nella patologia (compromesso patologico):
era il contributo freudiano alla libertà, che è lavoro libero altrimenti non significa nulla (la libertà non è un predicato dell’essere).
J. Lacan non ce l’ha fatta a essere freudiano sull’io.
Il suo indefinito “Simbolico” altro non è che la massa degli atti anzitutto linguistici − ma non “il linguaggio” −, ostili all’imprendere dell’io (cogito) fin dal bambino.
Il diluvio successivo all’io incipiente (après moi) è la corruzione da soggetto a soggiogato (vedi Soggetti o soggiogati di lunedì 6 giugno):
individualmente è la patologia, e perfino in questa l’io non è solo passivo, foss’anche per il peggio.
Après moi le déluge è la frase di ogni bambino am-ato dall’amore dell’amo.
Il linguaggio come tale è amico, non ostile:
c’è proprietà individuale di quel mezzo di produzione che è la lingua in quanto comune a tutti.
Le dèluge inizia sia nei primi anni della vita indiviuale, sia iniziava nell’antichità dalla teoria della lingua come nomi-di-cose e non di atti (Platone), così come nella tarda modernità dalla teoria della lingua come comunicazione.
giovedì 9 giugno 2011