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Primum legere, deinde philosophari, in questo caso:
(Dante, La divina commedia, Paradiso, XXXI, 1-12):
In forma dunque di candida rosa
mi si mostrava la milizia santa
che nel suo sangue Cristo fece sposa;
ma l’altra, che volando vede e canta
la gloria di colui che la ’nnamora
e la bontà che la fece cotanta,
sì come schiera d’ape che s’infiora
una fiata e una si ritorna
là dove suo laboro s’insapora,
nel gran fior discendeva che s’addorna
di tante foglie, e quindi risaliva
là dove ’l suo amor sempre soggiorna.
Neppure Vittorio Sermonti, sagacissimo esegeta di Dante, si è spinto fino alla mia esplicitezza sulla pornografia di questi:
penso che Dante non abbia mai riso tanto, tenuto conto che era troppo bravo nella sua arte e nella lingua che andava inventando, e anche nella sua miscredenza da coltissimo Bertoldo, per non sapere quello che faceva:
insomma è stato un buon … diavolo come quello logico (“tu non pensavi ch’io loico fossi”, Inf. XXVII, 123).
Chiunque abbia visto uno sciame di api sa che esso disegna una figura solida e allungata:
non sto dando una interpretazione “psicoanalitica” (le solite fisse degli psicoanalisti visionari di falli in ogni ombrello o uccello), mi è bastato lavorare di carta e matita e sottolineare metafore erotico-pornografiche usuali:
il fiore, il moto di va-e-vieni, che è moto di volo e di penetrazione dall’alto al basso, e ritorno verso una fonte alta di metaforico miele, e c’è perfino la distinzione tra piccole (fiore-petali) e grandi (foglie, che Dante non poteva confondere con i petali) labbra.
In questa pornoscrittura va anche osservata la continua anzi eterna ripetizione coatta dell’atto dello sciame, godimento forzato come lo è il lavoro in un bagno penale senza neppure pause-sonno:
è da J. Lacan che ho ricavato il concetto di Superio come il regime dei godimenti forzati.
Siamo sempre all’ossessione medioevale (non romana), e rimasta moderna, sul godimento, e all’orgasmo come il suo modello anche in “Dio”:
curioso che nessuno abbia rimproverato Dante come blasfemo per questa fantasia di eterna ammucchiata mistica, godimento dell’idiota:
escludo che nessuno se ne sia accorto, ma la rimozione è potente se culturalmente sostenuta per di più in modo bipartisan.
Ma in fondo la Divina è una goliardica mappa enciclopedica, sorta di Carmina Burana [1], di come le cose non stavano né stanno affatto bene:
in questo articolo mi sono occupato del capitolo “godimento” quando è coatto, che Dante ripartisce tra Inferno, Purgatorio e Paradiso (vedi il mio articolo di ieri):
può servire da portolano perplesso.
PS
So di scandalizzare tanti, ma d’altra parte dovrebbero finirla con l’errore di prendere Dante per un Catechista.
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[1] Secolo XIII. I loro testi poetici sono di Autori di vaglio.
giovedì 26 maggio 2011