Dopo l’articolo di ieri, insisto:
la parola “moralismo” va riferita alla sola morale kantiana, che nell’uomo come fine ammette anche il genocidio.
Attenzione però a coloro che fanno professione di anti-moralismo:
non è affatto al moralismo kantiano che si riferiscono.
Per quest’ultimo ogni atto, anche il più sudicio, omicida, rapinoso, menzognero, diffamatorio, è di due specie:
o è “puro” da passione e interesse, e allora anche la sua infamia è morale;
o è “inquinato” da passione e interesse, e allora la sua infamia è moralmente indifferente, “debolezza della carne”.
Gli antimoralisti suddetti “perdonano” qualsiasi infamia per indifferenza morale, corrompendo perfino il perdono cristiano.
Non c’è più moralista del perverso, l’antimoralista.
Il problema bimillenario dei cristiani è il non voler sapere, ne do un primo esempio:
i preti (ma ho già fatto osservare che ormai il prete è secolarizzato con clergyman in testa) hanno sempre finto di non sapere che “amore platonico” designa l’approccio omosessuale tra maestro e discepolo
− Platone lo giustifica con l’acquisto di “virtù” da parte del discepolo −,
per designarne invece il timido amore tra giovinetti eterosessuali;
un secondo esempio è quello della pedofilia come perversione, non come deviazione:
uno sciagurato Teologo molto noto, nella sua ignoranza è arrivato a dire che il prete pedofilo ha deviato l’istinto dalla donna che non ha al bambino (basterebbe un grammo di buon senso per osservare che se proprio-proprio allora si rivolgerebbe a una donna);
un terzo esempio è quello indicato dal titolo del prossimo incontro, sabato 11 giugno, del Corso annuale sulla perversione della Società Amici del Pensiero-Studium Cartello, Quel maiale di Parsifal, il quale sta tra mutandofilia (le mutande di Biancofiore) e pedofilia, ambedue feticismi.
martedì 24 maggio 2011