LUIGI GIUSSANI

Ne ho appena scritto (vedi l’ultimo articolo La passione dell’ultimo dei cristiani, giovedì 21 aprile), scandalizzando alcuni vecchi amici e senza farmene di nuovi:
eppure ne avevo fatto una sorta di rude, o dialettica, apologia logica, loico-laica:
eccola, anche nel suo collegarsi indiretto con il mio autonomo diventare psicoanalista cioè freudiano.

Ho incontrato Luigi Giussani quando avevo quindici anni in quinta ginnasio (1956), un giovane prete dalla fresca infantile turbolenza che aveva iniziato la sua impresa da due anni:
all’epoca io ero un “bravo ragazzo di Azione cattolica”:
per me normalizzato in un onesto tran tran cattolico, si è trattato di una specie di via di Damasco senza caduta da cavallo.

Determinerò ora il suo “carattere” in un solo tratto, senza celare che mi considero il suo migliore biografo [1].

Nella piattezza pia di un’abitudine presa (ma tradizione non è provincia), questo uomo come un fulmine a ciel sereno parlava di Gesù come di un “fatto”:
la parola “fatto” è stata la più giussaniana tra tutte, e dire che di trovate lessicali ne ha avute parecchie lavorando di parole come di aratro [2].

Voglio essere non meno fulmineo nel connotare la scissione iniziale che lentamente doveva trovare esito in un epilogo soggettivamente, o psichicamente, drammatico:
infatti, vero che il suo pensiero era nel modo più personale tutto condensato su Gesù come fatto, (non come teologia o morale),

però questo fatto è stato subito scisso dall’essere fatto di pensiero, pensiero sulle gambe, come pure dall’essere fatto di discorso sulle gambe, diciamo pure logos incarnato.

Separato da pensiero e discorso, Gesù restava solo come una meteora unica, emozionante, ineffabilmente affascinante, stupefacente:
un’altra parola ipergiussaniana era “stupore”, che ho sempre respinto così come non mi drogo.

La stessa parola “Dio”
− cui io stesso non tengo affatto, perché nelle manifeste proposte intellettuali di Cristo essa si risolve e perfino dissolve in un progresso del pensiero che la abbandona tra le vecchie storie −,
ha finito per essere sostituita dalla parola “Mistero” [3].

Qui va osservato un beneficio secondario che Giussani traeva dalla scissione, ossia il fatto che il suo non è mai stato un discorso teologico [4] (proprio come non lo era il discorso di Gesù):
ma ciò andava di pari passo, sguarnito come restava di teologemi come di filosofemi, con il rimanere sguarnito di argomenti:
e senza cercare soccorso in una “logica” perversa, ciò a suo merito, diversamente da molti altri che nella perversione, logica prima che comportamentale, hanno cercato riparo dalla psicosi.

Non mi ha dunque sorpreso che sul tardi arrivasse perfino a lasciarsi dire che il logos è “La Donna” leopardiana, proprio quella che in Leopardi è “Il pensiero dominante” cioè un delirio paranoico:
malgrado il palese contrasto di questa proposizione con l’ortodossia, non sarebbe corretto classificarla nell’eterodossia come qualcuno non ha mancato di fare.

La novità del portare Gesù ad altorilievo come fatto, ma separatamente dal trattarsi di un fatto di pensiero impensato dall’antichità, Luigi Giussani l’ha pagata per tutti, tutti coloro che non ci vedono né pensiero né fatto e si limitano ad aggirarsi con i loro teologemi, filosofemi, moralemi (un Gesù hegelo-kantiano).

Poco prima che morisse (2005)[5], incontrandolo per l’ultima volta mentre veniva spinto in carrozzella, appena vistomi mi ha detto senza preamboli:
“Giacomo, non si capisce più niente!”, ossia per un istante ha riconosciuto con me il suo stato ma era tardi.

Lui aveva investito su un puro fatto, ma un tale movimento rischia il crollo soggettivo nell’inconsistenza quando non è investimento su una consistenza (che significa logica):
l’amore stesso è investimento (fruttifero) di pensiero su pensiero, diversamente è innamoramento-haine-amoration come ben rilevava J. Lacan:
e senza amore del pensiero il pensiero non perdona.

La logica nel pensiero di Gesù − uomo cioè sensibilità-motricità-pensiero − è rappresentata dalla ripetizione dialettica “Voi dite … ma io vi dico”:
ma non torno a richiamare le quattro componenti dell’uomo nuovo in Gesù rispetto alle quattro componenti dell’uomo vecchio:
1° innamoramento, 2° istinto (e sessualità), 3° religione, 4° ontologia.

Già allertato senza fretta da prime osservazioni come queste sulla scissione fatto/pensiero, mi sono poi e presto rivolto a Freud amico del pensiero, e dopo i giusti passi sono diventato psicoanalista[6], per poi rintracciare la medesima amicizia in Gesù stesso (l’ultimo dei cristiani), e senza diventare un “bravo ragazzo” pio (fromm in Lutero).

Per me è poi seguito J. Lacan, un forte pensatore poco incline a fare concessioni al … pensiero:
è stato dopo questa prova che ho ripreso da Freud amico del pensiero.

Veterano di tutto ciò, ho poi potuto fondare una Società Amici del Pensiero senza attendere il Regno dei Cieli, pensando che se fosse sarebbe una tale Società [7].

___________

[1] Appena morto il 22 febbraio 2005, ho scritto su di lui un breve saggio Luigi Giussani e il profitto di Cristo, che ho reso noto a un indirizzario scelto.
[2] Questa similitudine non è mia, ma di un giornalista del Corriere che lo intervistò diversi anni fa.
[3] Swedenborg ha tentato precocemente Giussani, tanto che da giovanissimi ci faceva leggere Miguel Manara di O. V. Milosz, swedenborghiano notorio.
Contestualmente, rammento che ci faceva leggere con pari intensità Lannuncio a Maria di P. Claudel, dramma palesemente antimariano, che trattava il caso unico della Madonna (liberi tutti di pensarne ciò che vogliono) come un modello estendibile a altre donne (Violaine), cioè la vanificava.
[4] Sempre vistosa è stata la cordiale ripugnanza di Giussani per la Teologia. Nella sua scissione tra fatto e pensiero in Gesù, egli implicava non senza logica il rifiuto della Teologia come il surrogato storico di tale pensiero, che pretende anche di comandargli non solo che cosa pensare ma anche che cosa fare o non fare e se fare.
[5] E’ stato nel contesto di questa ininterrotta relazione con lui che ho accettato di collaborare a “il Sabato” (San Voltaire, 1986-93) e a “Tracce (Enciclopedia, 1994-2008), senza mai essere stato “ciellino” come tanti mi hanno rimproverato e fatto pagare.
[6] Senza mai pronunciarsi sulla psicoanalisi, Giussani ha approvato più persone a lui vicine a fare l’analisi con me.
Ritengo che di Freud non abbia mai letto una riga, diversi mi hanno però raccontato che egli riferiva una frase freudiana appresa da me: “L’analisi non deve rendere impossibili le reazioni morbose, bensì creare per l’io del malato la libertà di decidersi così o altrimenti” (1923).
[7] Naturalmente non ho detto tutto, neppure sul perché di questo lungo accompagnamento non da Antigone maschio.

martedì 26 aprile 2011

 

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