Pochi capiscono che parlo ancora di politica, non di interiorità né privatezza.
In uno dei prossimi appuntamenti me la prenderò con B. Pascal il “disonesto”, meritatissimo epiteto di Voltaire a proposito della “scommessa”.
Mi faccio ora precedere da Zardoz, film del 1973 di J. Boorman, protagonisti Sean Connery e Charlotte Rampling:
antecedenti letterari, La città e le stelle di A. C. Clarke, Atlantide di G. W. Pabst, The Wizard of Oz di L. Frank Baum.
In questo film, nel 2293 la casta degli immortali (oggi fantascientificamente pensabili grazie alle staminali), giovani belli sani pacifici, non ne possono più dell’immortalità:
e nel finale corrono gioiosamente incontro agli Sterminatori che finalmente li liberano a colpi di pistola dalla condanna alla vita eterna, dalla vita eterna come condanna, insomma gli danno la morte come dono.
Eutanasia come desiderio di sani non di malati, cambia tutto finalmente.
Questo film è assai razionale, infatti constata che non esiste affatto un desiderio certo di immortalità, piuttosto un’onesta sepoltura, dipende:
dipende da che non ricominci tutto da capo, anzitutto la noia o l’angoscia:
“ho già dato!” risponderebbe ogni persona di buon senso.
Io che non sono un ucci-ucci-cristianucci, posso permettermi di annotare che il caso di Gesù, storico o mitico, è stato un caso unico di asserzione certa (non fideistica, non ontologica) della desiderabilità di una vita interminabile:
non ope dei perché, se deus esistesse, avrebbe questo desiderio non come imbecille divino ontologicamente immortale, autistico o Narciso eterno.
lunedì 7 febbraio 2011