− Lasciate che vada!
dico, a un punto della serata, agli Amici che mi hanno avuto ospite:
loro sanno di non dovermi dare quel permesso che in verità non ho davvero chiesto, sapendo in anticipo di avere il loro consenso al prendermelo senza il dovere di domandarlo.
Inizia bene la civiltà per un bambino che apre un cassetto con denaro di casa e, nell’atto di prenderlo, dice:
− Posso prenderlo?:
idem come sopra (ciò abolisce l’indebita ridicola “paghetta”).
Naturalmente, un simile interlocutore deve essere un vero Signore, biblicamente “il Signore”, come nella preghiera di Simeone “Lascia che parta il tuo servo Signore” (vedi il finale di J. Lacan e l’afféde, 4-5 dicembre).
A uno così mi rivolgo come fa un Veneziano, “(S)ciao”, pronto a ogni servizio o, come scrivevo anni fa, senza obiezioni di principio, senza essere sc(h)ia(v)o.
Ecce ancilla domini è semplicemente una formula dell’amore, ma certo ci vuole un Signore:
in ciò mi ha segnato a vita la mia precoce lettura della Bibbia, con Signore senza “Dio”.
Il proprio di un Signore degno di questo nome è che non si lascia dimostrare né trovare, si fa vivo lui come quod principi placuit.
A un vero Signore non può piacere venire chiamato “Dio”, eccetto che in una goliardìa colta, Carmina burana.
La mia Amica può volere la mia pelle in ogni senso, il che ne esclude uno.
martedì 7 dicembre 2010