Non è l’estenuante dibattito politico in corso a saper fare un po’ di ordine nella patetica anarchia italiana, senza alcun potere anche nel Governo che palesemente non ne ha mai avuto (il Fascismo ne aveva, benché certo non per la buona sorte):
è il vecchio buon Capitalismo, che si è già pronunciato.
Vecchio?, io non lo dico, è il Capitalismo che dovrebbe tenersi informato del suo stato di salute;
buono?, ma no!, di buono il Capitalismo ha solo il fatto di essere tale:
di essere ciò che M. Weber aveva ragione di chiamare “vocazione, Beruf”, una fonte di moto assunta dal suo beneficiario per muoversi autonomamente.
Di più, il capitalista resta un eremita, la sua mondanità anche quando ostentata è irrilevante, e non sarei troppo certo che abbia bisogno di grandi spese di rappresentanza.
Da anni ho fatto mia questa parola “vocazione” esente da debiti religiosi:
l’ho trattata come sinonimo di ec-citamento, chiamata appunto, desiderio, fonte di potere, pensiero:
di cui siamo a corto, e non si tratta di Cultura, il cui stato di salute va comunque peggiorando in tutto il mondo, sempre più robaccia o robetta o povero remake.
É solo sul piano della vocazione o mozione che l’individuo, indipendentemente dalla sua rappresentanza collettiva, può trattare non bellicamente con il Capitalismo, semplicemente perché fatto della stessa pasta.
É sul suolo della vocazione che prende rilievo il detto terribile “A chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”.
venerdì 12 novembre 2010