La parole “intellettuale”, che sotto-sotto rimane disprezzata dal volgo e dall’inclita, da parte mia ha invece il massimo rispetto:
vero è che, facendo mia un’indicazione di J. Lacan, considero il bambino come il primo intellettuale (ma chi lo pensa?, e tutta la Psicologia ne è la negazione).
Il Corriere ha appena diffuso il Trattato sulla tolleranza di Voltaire, e ha fatto bene.
esso è presentato da una Prefazione di un intellettuale di spicco, Sergio Romano, che mi dà occasione di un nuovo appello al coraggio, che è una virtù esclusivamente intellettuale:
non parlo di morale bensì di morale in quanto un nome della vita intellettuale:
rammento che il Corso dello “Studium Cartello” quest’anno è dedicato alla perversione.
Egli viene meno a tale virtù due volte:
chiama Voltaire “giornalista”, però con la cautela “anche se la parola può sembrare riduttiva”;
lo chiama anche “filosofo”, però con la cautela “ma non fu mai un filosofo, nel senso corrente della parola”:
mannò!, filosofo sì giornalista sì, senza cautele (Voltaire non ne aveva):
lo psicoanalista, almeno quando si chiama Freud, unisce filosofo e giornalista più avanzatamente di Voltaire.
In una rubrica che ho tenuto per otto anni, “SanVoltaire”, ho scritto un “pezzo” su filosofo e giornalista:
il “piccolo” giornalista fa visita al “grande” Filosofo, Parmenide il “Terribile”, umilmente pregandolo di illustrare il suo pensiero per i lettori:
Parmenide non si fa pregare (il giornalista era troppo cerimonioso), e risponde nel miglior genere sloganistico di alcuni rari politici:
“L’essere è, il non essere non è, tò èinai estì, tò ùk èinai ùk estì”:
ancora cerimoniosamente ringraziando, il giornalista si ritira in redazione per spiegare (ma perché?) in linguaggio giornalistico (che cos’è?) il pensiero del Terribile:
mannò!, mi ripeto, giornalista era stato Parmenide (un pubblicitario lo capirebbe).
Il divulgatore è un servo del Padrone:
non parlo del Padrone-capitalista, vedi Zimbelli e libertà. Attualità, mercoledì 3 ottobre, e Padroni, giovedì 28 ottobre:
“divulgazione”, ecco la soggezione delle masse, definite come quelle che hanno bisogno di un linguaggio minore, minorizzante:
e infantilizzante, perché il bambino non esiste (inizia già intellettuale), l’infantilismo è solo un peccato adulto, una Cultura.
La soggezione delle masse è di antica data, ma la modernità l’ha rilanciata proprio all’emergere delle masse come tali (classe operaia, mercato di massa), il “buon popolo”:
simultaneamente all’emergere dei bambini, fino ad allora fuori controllo per loro fortuna.
PS
C’è la “divulgazione scientifica”, molto migliorata nei decenni:
ma non è divulgazione, è un genere, come lo è la fantascienza, non un linguaggio minore:
è notevole il caso della divulgazione scientifica quando l’autore è lui stesso uno scienziato d’alto rango:
non so quanto si renda conto di essere entrato in un genere.
lunedì 8 novembre 2010