TUTTI MISCREDENTI

Sabato domenica 23-24 ottobre 2010
in anno 154 post Freud amicum natum

 

Un recente evento culturale mi dà occasione di tornare su Un uomo di fede di giovedì 21 ottobre.

Credenti, non credenti, diversamente credenti, miscredenti:
ma io vedo solo (o quasi) dei diversamente miscredenti, anche in credenti, non credenti, diversamente credenti.

La parola “fede” ha sempre subito il destino del “significante” come definito da J. Lacan, ossia separato dal significato o concetto, il che significa parlare senza sapere quel che si dice.

E’ una questione squisitamente laica, e anche i laici vanno zoppi su questo punto, anzi specialmente su questo.

Ho appena letto due biografie, di Costantino imperatore e Carlo Magno, con particolare attenzione rinnovata alle conversioni forzate da quest’ultimo:
mi riferisco ovviamente ai Sassoni definiti da Freud “mal-battezzati” (schlecht getäuft), e che io ritraduco “mis-credenti”:
il battezzato a forza, scrive Freud, odia il suo battesimo e battezzatore, è un mis-credente.

Infatti il prefisso “mis” ha significato peggiorativo (come in “misconoscere”), fino a indurmi a prestargli un etimo scorretto linguisticamente ma non concettualmente:
quello di “miso-” come in miso-gino ossia che odia le donne:
il miscredente non è il non credente, ma uno che non ama affatto, oltre a non credere, ciò in cui dice di “credere”:
ho l’occasione di insinuare un nesso, su cui tornerò, tra miso-ginìa e miso-credenza.

Si parla tanto della coppia fede-ragione, che associo alla miscredenza:
perché “fede” non è uno di due termini convergenti in una coppia eterologa che non arriva mai a essere married, bensì designa quel risvolto della ragione (giudizio di affidabilità, vedi articolo succitato) che si applica ad asserzioni provvisoriamente non verificabili ma appunto solo credibili:
tali asserzioni sono giudicate accettabili perché hanno la premessa razionale del giudizio di affidabilità (innocenza, consistenza).

La scommessa di Pascal, intellettualmente disonesta (Voltaire), neppure considera tale facoltà del giudizio.

La laicità di tale facoltà risiede nel fatto che questa si esercita da parte di ognuno verso tutti, fino a trovare eventualmente qualcuno che risponda positivamente al test:
ho scritto “qualcuno”, senza di che la parola “fede” cade nel flatus vocis e da questo alla miscredenza odiosa.

“Fede” e “amore” fanno triste coppia nell’avere storicamente e logicamente in comune un destino funesto (come Atreo e Tieste), salvo riscatto o guarigione.

 

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