PIO IX E DIABOLIK

Per cogliere il collegamento occorre un momento di pazienza, ma assicuro subito che non faccio lo spiritoso:
piuttosto, mi sto togliendo dalle scarpe un altro sasso-masso già d’infanzia.

Tra i miei inconfessati pensieri d’infanzia, c’era il desiderio che i miei genitori si separassero perché in tal caso, tra altri beneficî, avrei avuto due case.

In lontani tempi mi sono sposato (in Chiesa), e ho intuito subito che era un matrimonio nullo (come quasi tutti), infatti non avevo sposato:
poi ho impiegato un’ … eternità a capirci qualcosa, ma almeno non ho mendicato “cause psicologiche”, le solite, sempre del tipo “sono stato malato da piccolo”:
detto all’antica, “la mamma batteva, papà batteva la mamma, ambedue battevano me”.

Nel Sillabo (1864) Pio IX parla alla nuora perché la suocera intenda:
vero che ufficialmente se la prende con i soliti cattivoni moderni, laicisti, “mangiapreti” (ne ho già parlato), nemici esterni e interni della Chiesa:
ma almeno questa volta parla alla suocera.

Leggiamo l’articolo LXVI, in cui condanna l’idea che il sacramento del matrimonio sia la crema religiosa sulla torta civile:
[proposizione condannata:] “Il Sacramento del matrimonio non è che una cosa accessoria al contratto, e da questo separabile, e lo stesso Sacramento è riposto nella sola benedizione nuziale”:
bravo!

In altri termini nell’esigenza logica implicita alla condanna, “sacramento” deve significare un supplemento che realizza come per-fezione o soddisfazione il contratto civilmente già completo (“gratia non tollit sed perficit naturam”):
ma quale genere di supplemento definisce il sacramento?, senza di che questo si ridurrebbe a un supplemento da crema religiosa.

É un quesito di sempre e sempre occultato:
con la conseguenza che gli items matrimoniali – effetti civili e in particolare patrimoniali, convivenza, implicazione dei sessi, figli-mantenimento, figli-educazione – sono gli stessi sui due lati matrimoniali, e dunque crema religiosa:
curiosa situazione, quella in cui un Papa condanna una proposizione immanente alla Casa che presiede.

Hanno sempre fatto eccezione le grandi Famiglie variamente regnanti, tutte connotate da un business di qualche sorta (politico o economico).

Vengo a Diabolik:
Diabolik e Eva Kant rappresenterebbero (questo condizionale non è poco) il supplemento atteso se (e ripeto che non è poco) la loro Società non fosse criminale (ma almeno è una Società):
nel caso in cui questo condizionale sia soddisfatto (cosa quasi impensabile), essi conferirebbero al coniugio uomo-donna la fattispecie cercata, quella di essere una SpA (“una sola carne”, che non significa luci rosse benedette):
insomma due si combinano per combinare qualcosa, ossia per un business, e ci sono affari amorosi, che sono amorosi se sono affari.

Come dire che il proletariato non è suscettibile di sacramento, tutto riducendosi in quello a sopravvivenza e riproduzione della forza-lavoro, senza affari:
solo un reazionario (“popolo bue!”) può diventare rivoluzionario.

Non sono il Papa, e non spetta a me inventare e proporre quale sarebbe il business cattolico, la fattispecie del sacramento.

Quanto al matrimonio civile, in sé non comporta alcun business, e ciò è bene perché il Diritto civile non prescrive fini ma solo condizioni:
se c’è business è perché i suoi partner hanno provveduto, caso per caso, a mettercelo.

Tra gli svariati commenti possibili, cambia tutto quanto alla fedeltà, sempre ristretta a una faccenda di alcova (e non sono il primo a osservare che la gelosia è omosessuale):
c’è infedeltà solo del socio d’affari.

Diabolik e, assai diversamente, Dolce & Gabbana, sono un bel problema, dico problema visto che fanno affari.

mercoledì 20 ottobre 2010

 

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