Sabato domenica 2-3 ottobre 2010
in anno 154 post Freud amicum natum
Ma insomma, quell’insopportabile Lucia dei Promessi sposi, chi è?
Manzoni non si è compromesso a rispondere, ma ha affidato la risposta ai personaggi che la incontrano per loro sfortuna, per primo quel povero idiota di Don Rodrigo:
vediamo l’escalation della sua passione.
1° tempo. Lui che è sì un potente ma di periferia, per questa passione arriva a minacciare di morte un parroco, una figura-cardine della potente Chiesa tridentina anzitutto milanese;
2° tempo. Ingiuria e minaccia un frate di un potente Ordine religioso;
3° tempo. Spende tutta la sua limitata influenza per coinvolgere uno dei potenti dello Stato (di Milano), e anche il cugino che, pur contando modestamente quanto lui, prima o poi gli presenterà il conto;
4° tempo. Si compromette a pagamento con un potente bandito d’epoca, assassino a pagamento:
che a sua volta muoverà le sue pedine per compromettere nel crimine una Badessa, e che aspetta soltanto di presentare a Rodrigo un conto pesante.
Se la pietosa peste non se lo portasse via, le pagherebbe tutte.
Che cosa avrà fatto Lucia a quel pover’uomo di Rodrigo per fargli perdere la testa a questo punto?:
chi è Lucia, la banale insulsa Lucia?
La mobilitazione di Don Rodrigo (sì, mobilitazione, ma nell’effetto non nella causa) è solo la più estesa e flagrante, ma non è l’unica:
da lei sono mossi e commossi anche il frate francescano, la ricca famiglia milanese che la ospita, il braccio destro del bandito in capo, e infine anche quest’ultimo, e in modo indiretto il Cardinale e l’opinione pubblica:
per non dire di quel deficiente di Renzo, che oltretutto perde l’occasione di scaricarla dopo la sua sospetta maldestrezza nella “notte degli imbrogli”:
sarà poi lei che cercherà di scaricarlo con il pretesto di un pio voto.
Insomma, Lucia è causa innocente anzitutto di misfatti, anche abbastanza idioti, ma come fa?:
ebbene, Lucia fa … niente, potenza del niente!:
niente proprio come le Teorie che ci invadono e ci rendono invasati, che sono inconsistenti ma che devono il loro potere proprio al loro niente.
L’insulsa Lucia ha, di suo, il fatto che vorrebbe del sale (e per questo cerca due volte di scaricare l’insulso Renzo), e non trova altra soluzione che di proporsi come oggetto-niente:
Lucia è una Justine, vedi Justine o le disgrazie della virtù:
sappiamo che Sade nel finale di Justine non sa che farne se non l’altra variante della prostituiva e criminale sorella Juliette, facendola sposare all’amato bene, lasciando prevedere che nel matrimonio rimpiangerà gli orrori sado-erotici di prima.
In fondo Lucia è come Virginia de Leyva, la Monaca di Monza omicida, tra Scilla di una vocazione imposta con l’inganno da un padre perverso, e Cariddi di uno schema matrimoniale insulso.
Manzoni di perversione se ne intende, si veda il duplice père-vers che sono il padre di Virginia, la cui descrizione come sadico è dichiarata, e quel padre malato che è il Cardinale.
Con la perversione la Storia del cristianesimo non ha mai saputo cavarsela:
la Cultura non fa di meglio.