Da un’intervista in 17 domande per una Rivista che ora non nomino, estraggo due risposte, la 1. e la 11.
1. Come è arrivata alla scelta di questo mestiere?
Risposta
Diverse tappe anche precoci (non faccio autobiografia) mi hanno condotto alla sua soglia, fino a fornirmi del divano:
l’ultima tappa la devo a una dolce forzatura, quella della mia prima paziente che era una deliziosa isterica, la quale si è sbattuta sul divano obbligando me a sbattermi sulla poltrona.
11. Qual è la sua personale concezione dell’esistenza: che la vita abbia un senso, che origine e destino dell’uomo siano, anche se misteriosamente, trascendenti; o, per quel che riguarda il destino individuale di ciascuno, tutto si esaurisca nel percorso tra la nascita e la morte? Che rapporto può
esserci, se ritiene ci sia, tra la sua concezione esistenziale e la sua concezione della terapia?
Risposta
Wow! che domande!
Non ho nessuna concezione dell’esistenza, detta una volta “Weltanschauung”, di cui Freud diceva che la psicoanalisi ne è esente.
Dopo l’esistenzialismo la parola “esistenza” mi annoia e stacco l’audio.
Alla parola “senso” riconosco un solo significato, quello di senso del moto, ovviamente corporeo, senza il quale la parola “senso” non ha … senso.
E “pulsione” significa legge di moto, che avrà tante forme e de-forme, altrettanti “destini” tutti privi di predestinazione naturale o sopranaturale.
Rifiuto l’idea di origine (“Da dove veniamo?”, al diavolo!, wow!) mentre tengo il concetto di fonte.
“Mistero” può anche starci, ma solo se designa un concetto nitido, quello di un’esistenza senza causa.
Quanto a “trascendente”, non ne rifiuto il concetto solo se è quello di legge di moto dei corpi umani ossia di “pulsione” che non esiste in natura cioè la trascende, è positiva cioè posta (da una o più fonti).
Quanto all’“arco della vita” cioè tra-nascita-e-morte, questa è solo l’antica “manfrina” della Sfinge di Tebe, e anche Edipo c’è cascato:
se prendo l’intervallo temporale in cui sto scrivendo queste righe, il suo segmento non è circolare, non si colloca affatto su quell’arco, non sta tra la mia nascita e la mia morte:
se il mio biografo lo descrivesse così sbaglierebbe tutto sul mio conto.
Invece la mia vita ricapitola l’intera umanità come diceva Freud (“l’ontogenesi ricapitola la filogenesi”).
Se qualcuno mi offrisse la “vita eterna”, farei come il cliente di un commerciante, cioè prima vorrei esaminare con cura l’articolo offerto:
se fosse senza garanzia riguardo all’angoscia declinerei cortesemente.
Dunque non c’è nessun rapporto tra la mia concezione della terapia (guarigione dalla necessità dell’angoscia), e la mia concezione esistenziale semplicemente perché questa non la ho (diciamo che non sono kierkegaardiano, né barocco).
Poiché non ho nulla da nascondere, aggiungo che io freudiano ho mantenuto il legame col cristianesimo, e ciò per una razionalità semplice:
che Cristo (non sto dichiarando né proponendo fede) nella sua definita legge di moto o senso non era religioso, non aveva credenze, non era metafisicamente greco, rifiutava l’amore come innamoramento o narcisismo, non aveva Weltanschauung, proponeva la vita umana come profitto a partire da lui, e dichiarava la sua eventuale “vita eterna” da uomo come esente dall’angoscia.
Non mi sembra di avere parlato da chierichetto cresciuto, come quasi tutti oggi.
giovedì 1 luglio 2010