Sudavo quando facevo il contadino nel ’700, sudo quando gioco al Roland Garros:
ciò che cambia nelle due situazioni non è ovviamente il sudore, un fenomeno fisiologico identico e che per di più aiuta in ambedue i casi.
Il biblico “sudore della fronte” è una metafora, che usa come ponticello il caso del lavoro non desiderato:
essa non designa il sudore, bensì due situazioni maledette del lavoro:
quella del lavoro salariato (di cui la prostituzione è un caso particolare), che è lavoro senza speranza di profitto ma solo di sopravvivenza prole-taria nei grandi e nei piccini;
e quella del lavoro male-detto dalla censura, che proibisce al pensiero di lavorare per il profitto:
una volta questo “sudore” si chiamava esaurimento nervoso, cioè la folle idea che il pensiero sia suscettibile di esaurimento:
designa l’angoscia, anzi, l’angoscia quando è acriticamente presa come ostacolo, obiezione, anziché come segnale (preziosissima indicazione di Freud), occasione di un “toh!” che ricorda il buon velista che sa spostarsi sottovento anziché fissarsi contro-vento cioè al vento-obiezione.
Quante volte uno psicoanalista si è sentito obiettare “Ma come fa a passare giornate ad ascoltare tante brutte cose?”:
una volta ho perfino udito un analista confessare “Quando arrivo a sera sono veramente esaurito!”
Non mi risulta che ci si sia interrogati sull’angoscia proletaria ossia il sudore della fronte salariata:
quella che ci fa obiettare “Caro signore, noi non abbiamo tanti grilli psicoanalitici per la testa!”:
un importante bolscevico anni ’20 ha parlato di “lusso dell’inconscio”:
pochi amano il lusso, e quasi tutti mentono dicendo di amarlo − non anzitutto l’inconscio, ma il lusso.
martedì 8 giugno 2010