NON AMO I MIEI PAZIENTI

Non amavo i miei pazienti neppure quando ho fatto, per poco, il medico tradizionale, soprattutto guardie mediche notturne (ero “bassa forza” medica):
semmai mi facevano saltare la mosca al naso perché mi svegliavano di notte, benché non per questo fossi tentato di sopprimerli, semmai facevo del mio meglio medico a loro uso per potere tornare a dormire.

Ritengo migliore medico quello che aspira a terminare la giornata, senza per questo distrarsi in scienza e coscienza né taglio dei tempi:
più esplicitamente, in questo ero buon medico perché non così sadico da “amarli” perché malati, cioè implicitamente benedicendo la loro malattia perché mi dava l’occasione di “amarli”.

Non amo affatto “l’umanità”, e tanto meno “i poveri” la cui povertà mi darebbe l’occasione di amarli:
quelli che l’hanno “amata” sono stati i peggiori, anche nella contabilità di morti e feriti.

L’amore, se esiste, esiste solo tra sani e con pari opportunità:
ecco perché ho anche scritto “Non amo i miei figli” (martedì 11 maggio), né amo i bambini  cioè la pedofilia spirituale ossia iniziale (Ivan Karamazov).

Già i “ruoli genitoriali” sono una carnevalata di tutto l’anno, poi il parlarne come di ruoli amorosi è cosa da stracciarsi le vesti:
cosa che comunque non faccio perché non vedo motivo di sprecare dei buoni abiti, piuttosto riponiamo senza stracciarle le maschere carnevalizie per il prossimo Carnevale.

Che idea!, perché non organizziamo per il prossimo Carnevale un corteo cittadino con tutte le maschere di ruolo?:
magari facendole indossare agli Psicologi, ma perché no? anche ai Preti di tutte le religioni e irreligioni cioè al sacerdos aeternus, quello la cui insistente benché inconsistente presenza proibisce alla modernità e laicità e modernità.

In quel supplemento di medicina che si chiama “psicoanalisi”
− tanto supplementare da essere irriducibile alla formazione medica anzi da non presupporla affatto −,
introduco i miei  pazienti a un principio pattizio, o di alleanza, che io sostengo a oltranza:
l’effetto seguirà al fatto che venga raccolto, ma certo anche sostenuto.

Ho concluso di spendere la parola “amore” solo a alleanza istituita, ciò che chiamo Regime dell’appuntamento, asimmetrico nell’uguaglianza:
a una prima mossa si con-lega una seconda mossa, con conservazione anzi conferma dell’asimmetria anche nella sua inversione, l’asimmetria resta a futura memoria:
non si tratta di botta-e-risposta, pacifico nel ping-pong ma non più nel ping-pong bellico.

La parola “amore” ci sta, ci sta bene, solo quando designa un risultato, non una premessa o un’intenzione o peggio una promessa:
promettere amore è un delitto:
piuttosto, meglio nascere psichicamente scugnizzo, di strada.

Uno scugnizzo potrà conoscere il trasporto amoroso (Űbertragungsliebe), ma proprio per questo non lo chiamerà mai “transfert”, una parolaccia che proprio perché tale nega l’amore:
nella negazione per parolaccia si insinua l’idea delirante che si tratterebbe di innamoramento.

giovedì 3 giugno 2010

 

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