Può darsene una sola per quattro:
1° quella che si spende come nel gioco a carte con un partner (può essere anche carta di presentazione, intestata o da visita),
2° la Carta o Statuto o Costituzione (amica della Costituzione italiana),
3° la Carta d’identità, debitrice della precedente (amica di quella rilasciata dal Comune),
4° la carta della matita.
Breve sviluppo su quest’ultima:
è la carta su cui si prende nota, salvo che non la si prenda:
a. non prendere nota è la rimozione (Rossella o’ Hara),
b. il vuoto di nota è occupato da un dramma, azione con tanta anaffettiva emozione,
c. l’atto mancante soppiantato dall’occlusiva azione drammatica − pezza non pièce −, farà mancare o s-venire dall’appuntamento proprio in ciò in cui questo accadrebbe (lo svenire comunemente inteso è solo uno dei cento casi dello s-venire).
Se facessimo l’inventario dei casi dello s-venire, sapremmo in che cosa il mondo non va, anzi che il suo non andare è susseguente al non venire:
non va, e sostitutivamente va troppo, compulsivamente, maniacalmente, angosciatamente ossia con sudore della fronte, oppure catatonicamente con la medesima angoscia.
Il nome tradizionale assegnato a (a.+b.+c.) è “isteria”, derivante dall’antico pregiudizio che sia una faccenda femminile (“utero”):
correttamente J. Lacan vi ha riconosciuto un “discorso” tra quelli dominanti il nostro mondo:
della cui forma patologica sfugge all’occhio medico, clinico, parte della sintomatologia, oltre che il discorso:
e che, in questo, la patologia isterica è la base di tutte le patologie, tutte s-vengono.
Le altre carte sono cartacce, ossia tutto ciò che nella Cultura è vs pensiero (“Disagio nella Cultura”).
Penso di avere proposto, in Società Amici del pensiero-Statuto, una tale Carta.
lo è della mia persona, giuridica non altra, in cui ius caro factum est.
Riprenderò lunedì 21 giugno.
martedì 15 giugno 2010