“Siamo” non è solo descrittivo ma anche esortativo:
è la morale cristiana di Sergio Leone, né braviragazzi né braveragazze.
In “Il buono, il brutto, il cattivo” non è buono neppure il “buono”, un bastardo come tutti gli altri (non rifaccio la storia di questa parola a partire da Shakespeare):
il bastardo è il punto di partenza universale, poi bravoragazzo nel camuffamento morale (“formazione reattiva”).
“Bravo ragazzo” ha una sboccata vicenda linguistica, ma non la riedito.
I preti pedofili sono dei braviragazzi all’ultimo stadio, dei tardorousseauiani ma ancora legati a santamadrechiesa, a marcellinopanevino e a gesubambino con il culino di Max Ernst (vedi “Dulcis in fundo”, martedì 13 aprile) nonché quello dei dorati putti barocchi con notsex-appeal.
Nell’articolo di ieri che ripropongo, ho rispettato contestandoli Eugenio Scalfari e Carlo Maria Martini proprio perché li salvavo dalla categoria “braviragazzi”, come ne sono esente io, e come già Gesù, che sui braviragazzi ci andava leggermente pesante (per esempio il fariseo è un bastardo come il pubblicano).
Freud annotava che non esistono neanche bravibambini
− nella sua facoltà scandalistica io non sono degno di sciogliergli i calzari, per esempio quando diceva che i bambini sono dei “perversi polimorfi” −
per aggiungere che “per loro la via della purezza è ancora tutta da percorrere”.
L’articolo di ieri non solo non verteva affatto su cose religiose, ma segnalava ancora una volta che già venti secoli fa avevamo avuto l’occasione di farla finita con religione, sacro, clericalismo, fideismo:
ma abbiamo perso l’occasione, poi è andata come è andata, abbiamo rilanciato come prima anzi peggio di prima, e abbiamo inventato i braviragazzi e le braveragazze, anche come Intellettuali:
ciò che chiamo il Preteterno.
La modernità è rimasta zoppa in fatto di laicità, e anche di modernità, come appunto osservavo ieri (non per la prima volta):
su modernità e laicità si è venduta troppo in fretta − sottolineo fretta − la pelle dell’orso.
lunedì 24 maggio 2010