Sabato domenica 22-23 maggio 2010
in anno 154 post Freud amicum natum
Se “Dio” mi passasse davanti in tutto lo splendore della sua potenza, sbadiglierei:
dopo la vicenda di Gesù, favola o non favola, una simile fantasia è solo antiquata e ridicola.
Dialogo Scalfari-Martini [1]:
Scalfari traccia subito la sua linea di demarcazione, che non lo è:
lui Martini, dice, ha la “fede” (cristiana), io no, ma ciò significa un’inferenza (se-allora):
se io avessi la sua “fede”, allora ragionerei come lui, ecco perché ho titolato “Il Cardinale Scalfari”, perché lo schema dell’inferenza resta valido, e i due posti restano anche se uno è vuoto (e i vuoti di potere si riempiono sempre).
Eh no!, protesto:
da un laico mi aspetto che sia laico, non che accetti la coppia fede-ragione salvo poi rifiutarsi al primo termine:
me ne aspetto che rifiuti, in generale, la resurrezione (salvo certe condizioni che dirò), non che dica che non ci crede, insomma due Club del medesimo paradigma a Convegno.
Un giorno ho capito perché l’argomento isolato della resurrezione mi ha sempre lasciato freddino, benché fossi stato solidamente istruito nella Dottrina, e oggi lo posso spiegare facilmente per mezzo della razionalità generalmente riconosciuta alla seria fantascienza.
Infatti oggi è possibile ammettere, grazie a una fantascienza spinta sì ma non illogica, che un giorno, disponendo di tutta la multiforme memoria che serve, una fantaneuroscienza tecnologicamente ben servita saprà ricostituirci biologicamente a partire dagli aminoacidi più semplici, in fondo dando seguito alla fantasia resurrezionale dalla nuda terra (gli aminoacidi) che Michelangelo ha copiato da Signorelli.
Concessa la fantasia, non sono pre-giudizialmente certo che nel mio testamento biologico scriverò che desidero avvalermene per risorgere, stante il ragionevole dubbio che dopo possa ricominciare tutto da capo:
dopotutto era già andata storta una volta e, insomma, “ho già dato”, vada per una onesta sepoltura, non ho in programma né mi incanta alcun desiderio resurrezionale.
Platone e Buddha e tutti quanti starebbero con me:
sono io che non sto con loro bensì con Gesù perché stimava l’umanità − in contrasto razionale con quelli − in quanto suo profitto personale e non perdita, tanto da tenersela (che sia una favola ora non importa, importa il pensiero in quanto logico).
Isolata, la resurrezione come miracolo sarebbe solo l’applicazione banale di una potenza prodigiosa, che non vale nulla senza il personale desiderio razionale di tenersi saldamente l’umanità come guadagno (si chiama “ascensione”):
è la prima idea del cristianesimo, che ne articola ogni altra (“dovrebbe articolare”, vorrei dire).
Per la verità è anche l’idea di Freud, ebreo miscredente senza illusione o religione, e privo di identificazione con Gesù, perché ha legato strettamente la soddisfazione al corpo e all’io.
Favola o non favola, se “Dio” si è incarnato è perché anche Lui voleva soddisfazione, papale-papale, un bell’ … egoista, interessato e appassionato:
la salus cominciava da lui:
questo me lo rende affidabile, perché non mi fido di quelli che non ci guadagnano, chissà che cosa hanno in mente:
disinteresse e spassionatezza sono minacciose anche quando gentili e sorridenti, prima o poi sostituiranno la maschera con quella di Gott mit uns.
Insomma, c’è una ragione che potrebbe rendermi desiderabile che una scienza futuribile, piuttosto che “Dio”, mi rimetta in piedi ossia uomo, corpo-io, e un io molto empirico?:
ho già risposto, è la Ragion pratica di Gesù, manifestamente non kantiana (ma è un fatto che il cristianesimo si è kantizzato):
Gesù sarebbe interessante anche se avessimo la fontana dell’eterna giovinezza:
che non ci risparmia l’angoscia e il desiderio di farla finita, perché l’angoscia è di vita non di morte.
Sottolineo che la considero l’unica domanda universalmente pertinente, e qui non c’è inferenza teologica che tenga:
dedurre la risposta dalla premessa teologica equivale all’infantilismo, ossia il peggio, assunto come postulato:
quell’infantilismo pedagogico che predica che non devo nemmeno pensarci, che ci pensa “Lui” perché Lui ci ama-ama-ama-ama-ama-ama-ama-ama …, ossia un pazzo o un perverso:
alla nevrosi ossessiva, o peggio, ho già dato, come tutti.
Questa risposta è stata data positivamente, discorsivamente, e come offerta anteriore alla domanda, dal pensiero attestato di uno che, agli effetti del mio argomento, potrebbe anche non essere mai esistito:
ossia un discorso perfettamente razionale (dico sempre che “Gesù ha ragione”) inclusivo del desiderio di restare uomo con soddisfacimento, corrispondente a ciò che la Dottrina chiama “ascensione”:
diversamente, solo un cretino avrebbe desiderato restare uomo, come correttamente obiettavano i docetisti:
come potrei prestare fede a uno che non ha ragione?:
non ho fede prima di fidarmi (giudizio razionale di affidabilità).
In fondo l’argomento logico docetista obiettava che, se era per tornarsene a fare il Dio “lassù”, poteva anche avere la cortesia di risparmiarci tutto questo teatro propriamente barocco:
“La vita è sogno” ovvero “non è vero niente”:
allora Gesù sarebbe il Fondatore mitico del Barocco.
Derivo da Freud questa solida idea di soddisfazione come conclusione di un moto corporeo, senza l’eterno ricatto dell’angoscia che fa dell’io il fuggitivo dal suo stesso pensiero:
nella soddisfazione la parola “salvezza” è legata al corpo, proprio come nella ragione di Gesù nel volersi e tenersi uomo.
Dall’intervista sembra che al Cardinale Martini non riesca di concepire che a Gesù piaceva essere un uomo, e restarlo aldilà di quello che, analfabeticamente, è considerato un breve momento sacrificale per educare con un po’ di “divino” le nostre testacce umane:
infatti, se Scalfari ha riferito esattamente, Martini ha detto che “dopo la morte sulla croce [Cristo] riassume la sua natura divina e immortale”:
protesto per la seconda volta perché, favola o non favola, Cristo ha voluto rimanere affezionatamente uomo tal quale prima, e non “abbiamo scherzato!”
Fede e ragione?, sia pure!, non tiro sul prezzo, ma allora che la fede sia un corollario del giudizio razionale di affidabilità, che definisco logicamente nell’unione di consistenza e innocenza, anzitutto di un pensiero.
Quando pranzo da amici, desidero che il cuoco o la cuoca sieda a tavola:
che me ne faccio di un “Dio” anoressico? cioè angosciato:
cura te ipsum.
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[1] Di Eugenio Scalfari ho scritto recentemente, con rispetto e stima: “Lettera a Eugenio Scalfari. La grande guerra sull’io”, sabato domenica 27-28 marzo.
Il dialogo tra Eugenio Scalfari, Giornalista, e Carlo Maria Martini, Cardinale, è riferito in: “Fede e ragione”, la Repubblica giovedì 13 maggio, a cura dello stesso Scalfari.