Ciò che mi piace di più del “Padre nostro”, è che nella parte applicativa si occupa di pane quotidiano, e di debiti e tentazioni (che nel mio caso mi danno il pane quotidiano).
L’articolo di ieri dovrebbe tenere il cartellone a lungo, venire quotidianamente riscritto e articolato.
In esso, ho detto, ho anche risposto a J. Lacan, mio analista e maestro, che per una vita ha posto in forma di sfida sempre una sola questione:
nella mia vita e nei secoli, ha detto, io non incontrato “Padre” che come puro significante (anche in Agostino), ossia senza significato o concetto, non pensabile:
adesso, dite voi.
Ieri sono stato esplicito nel rispondergli, cioè ho collegato il mio lavoro con il suo.
Ma la risposta formale era già il pensiero di natura:
senza sottomissione alla tradizione linguistica (“padre”, “amore”), ma senza rifiutare di riconoscerle quel tanto di buon grano che nonostante tutto ha prodotto, ma senza più possibilità di riprodurlo.
lunedì 26 aprile 2010