ZUCCHE VUOTE

come la mia per esempio, o almeno spero di essere sulla via di un tale grado di perfezione.

Un amico svizzero mesi fa mi ha regalato una zucca e ho apprezzato il fatto, anche prendendomi l’incombenza, che giustamente lui non ha ritenuto di assumere, di svuotarla – exinanire, kenòsein [mi scuso, non sono certo di questa forma] per usare due antichi verbi.

Da bambino l’epiteto “zucca vuota” non mi offendeva anzi mi divertiva.

Mi ha anche sorpreso che egli avesse avuto, in autonomia da me, la stessa idea che avevo avuto io una decina di anni prima, quella di regalare zucche a un nutrito gruppo di persone da me riunite, colleghi compresi, con l’invito a svuotarle della polpa:
pochi hanno capito, meno ancora hanno apprezzato, qualcuno è rimasto offeso:
ma non perché gli avessi dato della zucca vuota, bensì piena, in cui non succede niente:
in fondo si sentiva diagnosticato come paranoico, che si sente scrutato in ciò che ha “dentro”.

Quando scrivo ciò che scrivo o dico ciò che dico, poco dopo la mia zucca torna vuota senza che io soffra di patologie della memoria a breve o lungo termine:
svuotare quotidianamente la zucca non mi priva di memoria, non solo di memoria neuronale ma anche esterna a me.

Infatti una mia visitatrice mi ha ricordato qualcosa che ho detto una volta ma di cui la mia zucca si era svuotata:
che un torturatore non potrebbe estorcermi i miei pensieri, semplicemente perché non li conosco prima di averli elaborati con un altro, un eccitamento esterno, e subito dopo li trasferisco in una memoria di cui non tengo ad avere la password;
e che un ladro non potrebbe rubarmi il grano del mio raccolto perché non lo accumulo ma lo trasferisco subito.

Quanto alla memoria del pensiero, non temo gli hacker:
il pensiero – che è quello svelato da Freud rispetto al velo della censura – non teme il ladro:
questi non potrebbe rubarlo perché diventerebbe per ciò stesso un amico, che tutt’al più può commettere l’errore sciocco di non citarmi:
ecco perché da tanti anni tengo a pubblicare e lasciare stampare il pensiero di natura in tutte le sue forme, per esempio quello che esce dalle mie dita:
sono un comunista.

Il pensiero si cerca non di rubarlo ma di distruggerlo, come succede fin dall’infanzia:
rispetto al mio comunismo, l’anticomunismo è vandalismo e anarchia che tenta di farsi Sistema.

La mia zucca è vuota anzitutto di presupposti, che sono poi presupposti di Pulcinella tenuti serrati con la violenza sistematica.

Quando mangio la mia bocca ha la forma del pensiero di natura (“pulsione orale”) ad orchestra biologica, idem quando parlo e così per gli altri moti del corpo.

Domanda, che forma ha il corpo quando fa l’amore?;
oppure, che forma ha la bellezza ricostruita a partire dalla forma del pensiero?, tenuto conto che il pensiero non è e non ha interiorità, e dunque che “bella dentro” è soltanto un’allusione porno-spirituale comica?

Il pensiero non ha contenitore.

martedì 9 febbraio 2010

 

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