Siamo sempre alla Grande Guerra sull’io, io sono entrato in campo gravato da incertezze verso la fine dei ’60.
L’altro giorno un quotidiano (Repubblica 8 febbraio) ha estratto il libro del sociologo americano Christopher Lasch “La cultura del narcisismo”, 1979, con tante querimonie sul nesso narcisismo-successo, e via con la preteria universale di destra e sinistra, credente o miscredente, e con la lamentazione dell’oggi che fa da contrafforte alla lamentazione di dieci anni prima, destino della sociologia (con qualche eccezione, M. Weber per esempio).
“Poveri ma belli” è la versione moderata dello slogan universale di Narciso, falso come una moneta falsa:
infatti i poveri sono sempre brutti:
l’Idea di “populismo” si riconduce a questo slogan, diciamo sciacquette e deodoranti nella sua forma pubblicitaria.
Non moderata è la versione originale del miserabile Narciso del mito, a mollo nelle sue deiezioni e nella sua Eco allucinatoria, come pure, e correlata, quella del Narciso dell’innamoramento, a mollo nel suo iri-da-iri, ossia ancora una Eco benché delirata anziché allucinata (vedi “La Donna” di Leopardi):
si potrà poi discutere fecondamene se venga prima Narciso o Eco (non come uovo e gallina).
“Narciso” significa gente che non si dà una mossa, per usare un’espressione linguistica felice, e proprio questo significa “narcisismo”:
salvo poi non ritenere terminata l’individuazione del narcisismo prima della distinzione, che ho introdotto, tra oggetto e materia ai fini dell’investimento:
questa distinzione introduce la legittima suspicione sulla Storia stessa, anche del pensiero, come Storia del narcisismo.
Non-mossa, s-venimento dal moto e dalla legge di moto, significa inimicizia per il successo, quando il successo significhi succedere, accadere, e non successione.
Vale però questo gioco di parole che propongo:
che il nostro Mondo non ha successo nell’accadere:
e qui torna giornalisticamente, giornalmente, attuale Freud che si è occupato del principio dell’accadere:
al singolare perché il secondo (“di realtà”) non è che la riedizione del primo (“di piacere”):
e non, come tutti hanno troppo precipitosamente concluso, il passaggio a quel realismo banalizzante in cui J. Lacan ha riconosciuto il dominio del fantasma (o, come dico io, della Teoria):
che è privo di realismo, nonché di consistenza (la logica del fantasma non ha consistenza, ma su J. Lacan tornerò).
Tutti adoriamo fanaticamente il Capitalismo, anche se non lo sappiamo e non sappiamo bene cos’è, perché esso resta l’unica forma “grazie” alla quale succede ancora qualcosa:
capisco che Calvino deducesse che il successo è segno della Grazia, ma solo perché lui credeva di stare facendo della Teologia:
una volta si tremava per il Trono e l’Altare, oggi si trema per il Capitalismo, anche da disoccupati e precari, e naturalmente “da sinistra”.
mercoledì 10 febbraio 2010