Sto ancora parlando di universo (umano, quale altro universo esisterebbe?), non della male-detta “psicologia femminile”, ostile all’universo, alla con-posizione di questo, al coniugio in questo.
In una seduta di ieri, alla mia cliente nella tensione tra dolcissima e furiosa
– indubbiamente “carina” ma è un diminutivo discutibile a paragone con “cara” (e non è il caso di metterci una pezza verbale rimpiazzando con “bella”), anche in tutte le varianti della carineria mondana non esclusa la disponibilità sessuale -,
ho suggerito di individuarsi nella coppia inconiugabile Jekyll-Hyde:
vedrò poi il risultato del suggerimento.
Il noto romanzo ottocentesco non ci lascia molta scelta tra il civile insopportabile Dottore Jeckill e l’altrettanto insopportabile Hyde nella sua brutalità civile:
Stevenson usa il registro dell’ingenuità cercando di farlo bruto cioè animale, ma non ci incanta.
L. Stevenson non riconosce una ragione (che non significa buona) di Mr Hyde, eppure la designa:
infatti il passaggio da Jeckyll a Hyde è prodotto da una pozione, in cui riconosco il vecchio filtro magico o d’amore che fa in-amorare:
sappiamo che si dice “Mi sono innamorato/a” come “Mi sono sposato/a”, ossia che non c’è coniugio (è ciò che significa “narcisismo”).
Poi nell’in-amoramento si distinguono ruoli, “maschile” e “femminile”, e in quest’ultimo quello “materno”, nel migliore dei casi la solita mascherata:
in cui però la missione, non ruolo, della furia è riservata alla donna, spesso sorridente e carina, sofferente e pia, ma sempre Hyde, dura e pura.
É l’odio che distingue due specie di amore.
Sorvolo sull’omosessualità implicita.
Milano, 20 gennaio 2010