PERCHÉ NON POSSIAMO NON DIRCI ISLAMICI

[Precede ciò che ho detto nell’articolo di ieri, “Oddìo Dio”, in cui mi riconosco specialmente, posso dunque far breve.]

Aveva ragione pochi anni fa il Presidente Ahmadinejad, quando invitava l’Occidente a convertirsi in massa all’Islam:
la sua era semplicemente un’interpretazione che quasi sembra psicoanalitica, ossia del fatto che siamo già lì-lì, a un soffio.

Maometto, o meglio il Profeta Mohammed, è stato logico nel concludere che:
se religione,
allora Islam,
rispondendo a poco più di due secoli di distanza ad Agostino, che intorno al 390 compiva anticipatamente e inavvertitamente la massima concessione a Maometto, installando il cristianesimo nella religione, e accontentandosi di qualificarlo come “quella vera” (“De vera religione”):
a Maometto non deve essere sembrato … vero!,

e ha presidiato l’Islam cingendolo delle altre due “vere religioni” benché meno progredite, insomma rétro, si sa che Dio nel rivelarsi prende tempo!

Croce nel 1942, quando pubblicava quel fastidiosissimo saggio “Perché non possiamo non dirci cristiani”, non poteva neppure sospettare di non avere scelto la religione giusta.

All’Islam non è riconosciuta la modernità, o almeno si aspetta e spera che gli arrivi (“Aspetta e spera ché già l’ora …”), ma questo è un errore:
islamico è stato il moderno dei moderni, I. Kant, almeno nella sua morale presupposta, s-passionata e dis-interessata, aggiungo s-giuridica, come fonte della legislazione universale:
per Kant il diritto posto è servo della morale presupposta:
il kamikaze islamico degli attentati terroristici non è un estremista, ma estremizza Kant, spassionato disinteressato e sgiuridico com’è il suo atto per la legislazione universale.

É nella religione che ci sono guerre di religione.

La finirei di battezzare religiosamente Gesù, essendo già stato battezzato non in religione ma in amicizia:
si potrebbe ricominciare a … ragionare, guariti dalla sragione spassionata, disinteressata, sgiuridica.

Milano, 14 dicembre 2009

 

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