ROGER CHALLOU. OVVERO: DIO LO VUOLE!

Mio sogno nella notte lunedì-martedì:
verso le quattro mi sono levato per annotare ciò che me ne restava:

Roger Challou
homme de paille

Quanto a Roger Challou mi sono consultato con l’onniscienza di Dio-Google, ora riassumo il risultato delle mie ricerche incrociate (tutti possono riprodurle), a partire dalla certezza che mai ho avuto a che fare con uno Challou, tantomeno con un Roger Challou, salvo ammettere facilmente che, come accade a ognuno in ogni paese, posso avere udito o letto questo cognome qualunque tra centinaia di cognomi qualunque (come Smith, non come John Doe che, nella sua qualunquità, ha acquisito un significato definito).

Ho portato a termine l’analisi di questo sogno conversandone, dopo averci lavorato non poco, con Raffaella Colombo:
alla quale ho poi detto, scherzando sul serio, che non le avrei pagato la seduta, non per tirare sul prezzo ma perché siamo ambedue nell’analisi infinita.

In breve, homme de paille, notabene in francese
– in italiano “uomo di paglia” ne deforma il significato dopo il film “Uomo di paglia” di P. Germi del 1958, molto contestato dal PCI secondo me a ragione -,
designa il prestanome, a ogni uso anzitutto legittimo (ci sono anche gli usi illegittimi):
significa che il titolare agisce sotto altro nome, appunto prestatogli.

La casistica del prestanome è più varia di quanto si creda, aldilà di quella affaristica corrente:
un caso è quello del genitore che presta il nome ai figli, a più effetti, senza che vi sia da ridire:
ci sarebbe da ridire se credesse (e spesso lo crede) che sia questo a fare il figlio, ossia l’erede;
lì per lì, benché obtorto collo, anche l’analista è prestanome agli effetti di conclusioni assunte come proprie, a fronte della patologia che è il compromesso dell’io minacciato contro l’assumersi la titolarità del suo atto (anzitutto linguistico):
la guarigione inizia dal riconoscersi titolare del proprio compromesso, senza più analista come homme de paille che gli presta questa conclusione.

Ero obtorto collo già all’inizio della mia carriera di analista (più di tre decenni fa), allorché decidevo di non seguire tanti analisti più anziani che in seduta si isolavano fino a non ricevere telefonate (interiorità a due, brrr!):
si volevano homme de paille a vita, della propria come di quella dei propri clienti.

Da un secolo abbiamo voluto anche Freud come homme de paille a vita:
ma non lo è perché, titolare del pensiero di cui è stato amico, lo sono anch’io in subordine insieme a lui allo stesso pensiero:
Freud mi precede nell’essere stato il primo, e nel riconoscerlo tale sono più solido nella titolarità di quel pensiero che precede sia Freud che me.

Ma il tema è antico:
“Freud lo vuole!” è lo stesso che “Dio lo vuole!”:
Dieu de paille:
posto che esista, anche lui è obtorto collo.

Milano, 01 luglio 2009

 

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